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È importante vedere il paziente grave innanzitutto come persona e dare senso e significato all’unicità della sua sofferenza, in modo da conoscere il suo intimo sentire ancor prima di etichettarlo e diagnosticarlo. Un incontro ‘nuovo’ con la follia è possibile se si ha un contatto diretto con il paziente, se si riesce a mettere parole alla sua sofferenza senza smarrire l’unicità della sua storia. «Un omone, alto e grosso, cammina rasente al muro del corridoio per avviarsi nella stanza del gruppo di psicoterapia, non parla e non guarda, ma sembra leggero, molto leggero come se volasse, come se avesse dei piedini invisibili»: se stiamo con l’esperienza che ci trasmette e lasciamo nello sfondo la sua diagnosi (schizofrenia), non ci sorprenderà sapere che Tommaso pensa di essere un palloncino, attaccato ad un filo. Sta vicino al muro perché ha paura di poter volare in cielo, per cui, quando si staccherà da esso, lo potrà fare perché sarà meno angosciato che questo avvenga, perché avrà sentito che attorno a lui l’ambiente umano lo contiene e lo sorregge.

Valeria Conte, La Gestalt Therapy e i pazienti gravi in G. Salonia, V. Conte, P. Argentino, Devo sapere subito se sono vivo. Saggi di psicopatologia gestaltica, Ed. Il pozzo di Giacobbe, pag. 70-71



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