Un’altra forma di confusione che può essere indotta nel bambino ha a che fare con i nomi errati suggeritigli in rapporto alle emozioni che vive o che vede nel corpo dell’altro. La confusione è accaduta nel momento in cui emerge la funzione-Personalità e le parole che si apprendono non corrispondono o distorcono il vissuto che si sperimenta. In un gruppo di formazione, al termine di un lavoro, Anna si mostra rilassata e distesa. Le chiedo: «Come ti senti?». E lei mi risponde: «Mi sento ansiosa». Rimango sorpreso e con me i partecipanti: la sua risposta sembra troppo discordante da ciò che comunica il suo corpo e dal lavoro svolto. Le chiedo quindi di dirmi meglio cosa sente nel suo corpo, quali sensazioni avverte, soprattutto da dove trae la percezione dell’ansia. Lei risponde: «Sento vibrare il mio corpo, sento fluire come un’energia, ho voglia di muovermi… mi sento ansiosa!». «Se non esistesse questa parola – le chiedo – cosa diresti?». Lei, sorpresa, mi dice: «Ma non è questa l’ansia?». Poi racconta come ogni volta che sente nel proprio corpo la voglia di muoversi si ricorda della madre che in circostanze simili le diceva: «Ma cosa hai? Perché sei così nervosa? Perché non stai ferma?». In questa situazione l’esperienza si è formata, è stata avvertita come propria, ma il nome che riceve è ‘errato’ (secondo il vocabolario condiviso). I nomi errati dell’esperienza riguardano il livello cognitivo e narrativo dell’esperienza, che in GT viene definito come funzione-Personalità del Sé. Come si evince, dal punto di vista clinico è necessario operare un’analisi differenziale dei tipi e dei livelli di confusione: distinguere, cioè, se essa riguarda la funzione-Es (il formarsi dell’esperienza nelle sensazioni e nell’emozioni) o la funzione-Personalità (il raccontarsi o il raccontare l’esperienza).
Giovanni Salonia