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Ogni crescita richiede che si apprenda a collocare i bisogni umani – anche quelli di base o primari – all’interno del mondo dei significati. Nel caso specifico, qui si tratta di aver appreso a nutrirsi non solo di pane, ma anche di significati. Il sapore del pane dipende spesso proprio dal suo significato. Si pensi a V. Frankl, lo psicologo fondatore della “logoterapia”, che ha avviato la propria ricerca teoretica a partire dalla tragica personale esperienza nei campi di concentramento nazista. Dentro quell’inferno egli sperimentò infatti che, in ultima analisi, quanti avevano un significato di vita riuscivano a sopravvivere più degli altri. Elaborò così la propria teoria, nella quale afferma e dimostra che la nevrosi si sviluppa sostanzialmente dalla mancanza di significato nella vita. E’proprio vero che non di solo pane vive l’uomo. Solo chi ha un perché può vivere una vita piena e far fronte agli scacchi e ai fallimenti. I bisogni, quindi, vanno situati in un contesto di significati dal quale ricevono valenza e peso. Per questo si può affermare che noi non conosciamo la fame in se stessa, ma sempre una fame-in-situazione, e cioè questa persona che sperimenta questa fame in queste circostanze. Se la fame viene situata, acquista una valenza all’interno di una molteplicità di significati; di conseguenza, non si mangia perché si ha fame, ma si mangia perché “si è deciso di” mangiare. E’ questa la strada della liberazione dal bisogno fisico, che conduce alla responsabilità personale come fattore ineliminabile e costitutivo della libertà dell’uomo. Solo noi infatti possiamo far “nostro” ciò che è dentro di noi e solo noi possiamo dare il nostro significato alle situazioni che viviamo.
Giovanni Salonia, Kairòs – Direzione Spirituale e Animazione Comunitaria, EDB, Bologna 2006, pagg. 47-48



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