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Il testo è un estratto dal libro “Il trauma e il corpo in Gestalt Therapy“, di Simona Gargano, pubblicato a novembre 2022 da Pensa Multimedia nella collana dell’Istituto Gestalt Therapy Kairos

Le principali tecniche attualmente utilizzate e riconosciute come efficaci dalla comunità scientifica a livello internazionale in ambito psicotraumatologico sembrano sempre più richiamare tutto ciò che, sin dalla sua nascita, si trova al cuore della teoria e della tecnica gestaltica. […] Alla luce di ciò, il presente scritto si è posto un duplice obiettivo: da un lato, quello di evidenziare esplicitamente quanto di gestaltico si trovi già all’interno dei diversi approcci attualmente ritenuti validi in ambito psicotraumatologico; dall’altro, si è cercato di offrire una panoramica di alcuni elementi cardine della teoria e dell’epistemologia gestaltica che sembrano essere perfettamente in linea con essi.

Sembra che la teoria gestaltica, nata tra gli anni ’40 e ’50 del Novecento, abbia, per molti aspetti, anticipato le più recenti scoperte in ambito psicotraumatologico e psicoterapico. Infatti, sembra che queste ultime abbiano portato ad una presa di coscienza riguardo alla centralità, nel trattamento del trauma psichico, di quelli che possono essere considerati come i tre cardini della terapia gestaltica: corpo, tempo e relazione. Sulla scia di tali considerazioni, è possibile affermare che, per alcune delle sue peculiari caratteristiche, la Psicoterapia della Gestalt (o GT), grazie al suo composito sostrato teorico – che racchiude al suo interno alcuni dei principali contribuiti della fenomenologia e dell’esistenzialismo, della psicanalisi e di alcune teorie post-analitiche, la psicologia della gestalt, la teoria del campo di Lewin e persino alcuni elementi della filosofia del Buddismo Zen – potrebbe configurarsi come possibile approccio d’elezione per il trattamento del trauma nelle sue diverse forme. 

Al cuore della teoria gestaltica si trova il concetto di «contatto». La sua etimologia rivela quel ‘toccarsi insieme’ che è l’incontro – necessariamente sempre corporeo – tra umani. In effetti, in GT la costitutiva apertura dell’uomo verso il mondo, di matrice fenomenologico-esistenzialista, diventa centrale e si caratterizza in modo marcatamente corporeo-relazionale: l’uomo è, infatti, sempre un «con-esser-ci» (mit-da-sein), la cui condizione necessaria d’esistenza risiede proprio nel suo essere ‘incarnato’, poiché il corpo – così come teorizzato da Merleau-Ponty – costituisce l’unica possibile apertura percettiva al mondo. L’intenzionalità di questo ‘con-esser-ci-incarnato’ che è l’Organismo Animale Umano (OAU), quindi, è sempre un’intenzionalità di contatto. Tale intenzionalità relazionale fa sì che l’OAU sia sempre proiettato e proteso ‘fuori di sé’, in un perpetuo movimento di ‘autotrascendimento’ e ‘progettualità’, che lo porta a ricercare, ritmicamente, in un continuo e alternato susseguirsi di episodi di contatto e ritiro dal contatto, l’incontro. L’episodio di contatto rappresenta il principale avvenimento alla base della crescita umana: l’uomo, in quanto ‘con-esser-ci-nel-mondo’ dotato di intenzionalità relazionale, cresce se entra in interazione con l’ambiente, e la sua crescita consiste essenzialmente in un susseguirsi di contatti nutrienti. Infatti, è proprio nell’incontro con l’Ambiente (A.) che l’Organismo (O.) può realizzare la sua più intima natura, nel continuo dispiegamento del proprio Sé, attraverso ritmici episodi di contatto.

La GT, riprendendo la distinzione di matrice husserliana tra körper (corpo anatomico) e leib (corpo vissuto), assume la visione del corpo come ‘corpo vissuto’, giacché, in tale ottica, l’esserci è concepito – in accordo con Merleau-Ponty – come presenza corporea e soggettività incarnata. In particolare, il corpo vissuto si dà essenzialmente come esperienza cinestesica: è proprio l’imparare a sentire il proprio corpo che consente di arrivare ad abitarlo pienamente. 

Alla luce di ciò, la valutazione dello schema corporeo implicito – concepito come immagine del proprio corpo che risulta, non dal corpo reale, ma unicamente dalle parti e dalla totalità percepite a livello propriocinetico – rivelerà l’eventuale scarto esistente tra il corpo vissuto e il corpo anatomico. Secondo la GT, che riprende e rielabora in chiave corporeo-relazionale le intuizioni di Schilder, lo schema corporeo implicito si sviluppa lentamente, attraverso specifiche e ripetute esperienze (corporeo-relazionali) di contatto tra il bambino e le sue figure genitoriali. Tali esperienze, se adeguate, permetteranno al bambino di sperimentare «un senso intimo delle varie parti del corpo e del corpo nel suo insieme», che andrà a completare ed integrare le altre esperienze del corpo a livello visivo e funzionale. Come afferma Salonia, «un bambino che è stato visto nel suo corpo, è stato confermato con le parole, e con il contatto fisico, che ha potuto sperimentare le potenzialità del proprio corpo (muoversi, manipolare l’ambiente) ed ha potuto esplorare il corpo dei genitori, costruirà uno schema del proprio corpo vibrante e vitale che gli farà vivere la forza ed il calore della corporeità».  […] Quando ciò non accade e, per qualche ragione, le esperienze corporeo-relazionali sperimentate nella prima infanzia risultano disfunzionali o non pienamente funzionali, si creerà uno scarto, più o meno consistente, tra lo schema corporeo implicito ed il corpo reale: in tal modo, lo schema corporeo implicito, emergendo da tale scarto, risulterà rimpicciolito o alterato. Questa dicotomia può generarsi nei pazienti, poiché «fare esperienza dei propri corpi può essere stato associato così fortemente al dolore, alla malattia o alla violazione da indurli a trasformare i loro corpi in qualcosa da evitare». […] Come già dimostrò Reich, inoltre, ogni parte del corpo desensibilizzata o contratta è correlata ad emozioni bloccate. Quindi, quando alcune parti del corpo, legate a specifici bisogni fisiologici, vengono escluse dallo schema corporeo implicito, persino la percezione di tali bisogni può risultare bloccata o distorta. Quando ciò accade, «il corpo trova strade alternative e ‘urla’ i propri bisogni inespressi con il dolore, con la malattia e con il sintomo: le sofferenze psichiche e relazionali nascono e si configurano proprio come incapacità di avvertire e decodificare i segnali dei bisogni del corpo»: si creerà, quindi, un disagio psichico importante a livello personale e relazionale.

Oltre a ciò, poiché, come afferma Lowen «Il senso di identità scaturisce dalla percezione di contatto col corpo», dal momento che «per sapere chi siamo dobbiamo essere consapevoli di ciò che sentiamo», anche la nostra identità sarà percepita intimamente in modo diverso, a seconda del grado di sensibilità o insensibilità corporea. Apprendere la valutazione organismica corporea diventa, allora, il principale compito terapeutico della GT. 

Sebbene ogni forma di malessere psichico si manifesti a diversi livelli (corporeo, emotivo, cognitivo), «la scelta di campo della GT è proprio quella di partire dall’esperienza corporea, perché è proprio il corpo (i cinque sensi, la pelle, le parole) il luogo (il confine di contatto) in cui il sé si posiziona quando deve entrare in contatto con l’ambiente». In effetti, è proprio nel mostrarsi del corpo che, secondo l’ermeneutica fenomenologica – che guarda alla ‘profondità della superficie’ – il profondo si manifesta. […]. Sarebbe però riduttivo pensare alla GT come ad un approccio esclusivamente corporeo: come afferma Pasini, «è nella Psicoterapia della Gestalt che il rapporto corpo/mente viene utilizzato in ambedue i sensi, mentre la psicoanalisi parte dalla rappresentazione mentale e la bioenergetica dall’esperienza corporea». La GT si configura più precisamente come approccio olistico, proprio perché ricompone lo split mente/corpo, guardando all’Organismo Animale Umano come «totalità dinamica in relazione». 

Si potrebbe dire che la terapia gestaltica è una situazione ‘sperimentale’, poiché è proprio l’attraversamento dell’esperienza del contatto tra terapeuta e paziente che, in ultima analisi, sta alla base del cambiamento. Per tale ragione, in GT assumono un ruolo chiave l’esperimento e l’azione, alla quale – come abbiamo già ricordato nel precedente paragrafo – molti dei principali approcci contemporanei al trauma psichico attribuiscono oggi un’importanza nuova, introducendola nel setting terapeutico come elemento centrale alla base della risoluzione del trauma. […] In GT l’azione è vista, infatti, come luogo di trasformazione, il cui compimento, quando sgorga da una consapevolezza piena e libera di fluire, conduce alla sperimentazione e all’apprendimento di elementi decisivi e nuovi della propria identità: in effetti, l’azione (che in tale ottica risulta profondamente intrecciata alla consapevolezza, dalla quale emerge e sulla quale, successivamente, influisce) è capace di verificare e spesso modificare i pensieri che la precedono, generandone a propria volta di nuovi. […] È proprio qui che si evidenzia forse la principale differenza tra la terapia gestaltica e gli altri approcci: nel blocco muscolare-emozionale la GT vede non solo un’emozione trattenuta che tende alla ‘scarica’, ma anche e soprattutto un’interruzione di contatto, ovvero il non aver portato a compimento un gesto preciso in una relazione precisa. In GT, poiché il luogo del disagio psichico risiede proprio nell’interruzione di contatto, si è interessati all’emergere di un blocco corporeo-relazionale nel qui-e-adesso della relazione terapeutica. Il gesto mancato è visto, dunque, come un’interruzione di contatto inscritta nel corpo, all’interno di una relazione con qualcuno: «tale interruzione rimane sempre presente a livello subliminale nella memoria corporea della persona, caricandosi di tutta l’eccitazione bloccata», che si trasforma in angoscia ogni volta che l’antico bisogno (o desiderio) riemerge.

Il confronto col trauma ha richiesto un ripensamento del ‘primato’ dello psichico sul corporeo (che era stato già avviato anche a partire dalle nuove scoperte scientifiche nell’ambito delle neuroscienze, dell’infant research e della teoria dell’attaccamento), al punto che molti degli approcci e delle tecniche contemporanee per il trattamento del trauma psicologico individuano nella consapevolezza delle sensazioni corporee e delle emozioni un elemento centrale della terapia e, soprattutto, riprendendo quanto sosteneva Janet, vedono proprio nell’azione corporea la chiave di volta per la risoluzione del trauma. 

 

Le esperienze traumatiche reificano, paralizzano e alienano il naturale dispiegamento dell’esistenza umana, costituendo un attacco destrutturante e radicale contro di essa. Non stupisce, allora, che vittime di traumi tendano a disidentificarsi dalla loro esperienza corporea, la cui memoria contiene un vissuto tanto insopportabile.

 

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