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Alcune dinamiche che non riescono ad emergere spontaneamente sono particolarmente significative e restano sospese nel campo relazionale come attese o pretese: ‘quale corpo voglio sentire lontano o vicino?’, ‘quale sguardo voglio avere frontale o di fianco (percezione visiva)?’, ‘verso quale corpo sono proteso?’. Molto della storia della famiglia ci si offre e ci si racconta nella scelta dei posti (anche a tavola). È proprio vero che nell’ovvio si mostra la profondità della superficie. Nei dettagli, poi, si sa, si nascondono o Dio o il diavolo. I dettagli relazionali (quello sguardo quasi furtivo, quel tendere del corpo che è al di là delle
parole) sono come una freccia puntata nella direzione che non si riesce a imboccare. In questa acuta attenzione terapeutica alla prossemica relazionale, è fondamentale non interpretare ma far risuonare dentro il proprio corpo le sensazioni, aspettando il kairós per intervenire. Decisivo poi in questo modello di FGT è non fare mai commenti sul non verbale o sulla prossemica. Dire ad una persona che si accarezza il braccio «Cosa sta facendo la tua mano?» o «Vedo che ti stai accarezzando» provoca solo chiusura e contrazione corporea, bisogno di proteggersi da invasioni indebite. Sensazioni che diventano ancora più fastidiose di fronte agli altri membri della famiglia. Per introdurre il lavoro sulla prossemica, può essere utile porre delle domande che favoriscano l’attivazione, come: «Chi vorresti sentire più vicino?», «Se volessi giocare a cambiare posto, dove ti metteresti?». Ovviamente dopo aver cambiato posto (o averne soltanto espresso il desiderio) si può chiedere cosa questo gioco iniziale ha provocato, ha rivelato, ha confermato da una nuova prospettiva.

Giovanni Salonia, Danza delle sedie e danza dei pronomi. Terapia gestaltica familiare, ed. Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2017, pagg. 95-96






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