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Per presentare i legami affettivi della famiglia, ci ispiriamo alla splendida formulazione dell’amore fatta da Agostino: ordo amoris (nel De Civitate Dei dice “vera virtutis est ordo amoris” e nel De doctrina cristianaparla di “ordinata dilectionem”). In questa intuizione geniale, Agostino ci ricorda che l’amore prende forma sempre e comunque nella e dalla relazione in cui è collocato (genitoriale, nuziale, fraterna e quant’altro). Come vedremo, un amore non è genuino se perde la forma della sua declinazione (ad es. amare un figlio come un partner). L’amore come ordo amoris oggi, in una società liquida, acquista una particolare valenza antropologica e terapeutica come chiave di lettura che fa chiarezza sulla struttura affettiva dei legami. Come dire che, per non diventare “liquido” e inconsistente, ogni amore deve essere dentro la propria collocazione, altrimenti è altro (si chiama amore, ma è “al posto di”). Per tale spessore di attualità, l’intuizione agostiniana di ordo amoris, ripresa in un testo ormai classico di Max Scheler , riscontra un rinnovato interesse (basti ricordare Bodei o la De Monticelli o Lyotard) nella ricerca di una nuova grammatica dell’affettività. Parlare di ordo amoris(invece che di amore) significa riconoscere l’elementare dato antropologico secondo cui l’amore si declina e si inscrive sempre e comunque in un contesto relazionale (ossia in legami) dal quale riceve un ordo, una grammatica che ne determina e ne garantisce l’autenticità.

Giovanni Salonia,  Ordo Amoris e famiglia di origine, in AA.VV., Amare sempre o amare per sempre? Profezia della fedeltà creativa nel tempo delle relazioni liquide, pp. 20-21


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