Per essere, infatti, bisogna stare e assumere la finitudine corporea che supera ‘la frontiera del tempo nello spazio’. Il nostro corpo e la nostra percezione ci sollecitano sempre ad assumere come centro del mondo il paesaggio che ci offrono, anche se non è necessariamente quello della nostra vita: io posso ‘sentirmi altrove’ pur rimanendo qui e se sono costretto nel qui mi sento fuori posto, in una vita decentrata, come accade nel bovarismo o nella nostalgia della nostra città o patria.
Al contrario il maniaco si centra dovunque, ‘il suo spazio mentale è largo e luminoso’ ed è toccato e trascinato da tutti gli oggetti. C’è una distanza vissuta che collega le cose che contano ed esistono a noi e tra di esse: questa distanza, che può essere troppo corta o troppo grande, misura in ogni momento l’ampiezza della nostra vita, come quando certi avvenimenti scompaiono e altri invece ossessionano. Lo spazio chiaro ove tutti gli oggetti hanno la medesima importanza e il medesimo diritto di esistere è circondato e compenetrato in un’altra spazialità che le variazioni patologiche rivelano.
Giovanna Giordano