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Torniamo al processo di traduzione. Etimologicamente ‘tradurre’ (trans-duco) indica ‘condurre’, ‘trasportare dall’altro lato’, ‘attraversare’. Nella clinica gestaltica tradurre significa attraversare la comunicazione verbale e non verbale del PBL per individuare, dentro la sua grammatica e il suo linguaggio, l’esperienza che vive e vuole condividere. Nell’esempio portato da From, il terapeuta trova il nesso (certamente idiografico e artistico!) che il paziente ha istituito per mettere insieme la luna e il formaggio: il colore giallo. Come detto, la confusione borderline deriva dal fatto che il PBL usa parole condivise (luna, formaggio, etc.) con denotazioni, connessioni o nessi idiografici… il soggetto ha messo in atto un criterio associativo differente – ma non per questo meno logico e coerente – da quello della semantica usualmente condivisa: se ambedue sono gialle ne deriva che sono connesse ed interscambiabili (la luna è fatta di formaggio e – perché no? – il formaggio è fatto di luna). Nel percorso terapeutico diventa fondamentale, allora, individuare l’esperienza (relazionale) del PBL e favorire il transito dal suo linguaggio idiografico a quello condiviso. Per portare avanti questo processo di individuazione dell’esperienza e della traduzione del linguaggio, la GT offre due strumenti ermeneutici. Il primo – la teoria evolutiva del ciclo di contatto – analizza quando e come nella relazione con la figura genitoriale il PBL ha appreso parole e grammatica. Il secondo – la teoria del Sé – analizza quale funzione del Sé è stata coinvolta in tale apprendimento: la funzione-Es (esperienza corporea) o la funzione-Personalità (narrazione dell’esperienza).
Tratto da: Giovanni Salonia, La luna è fatta di formaggio.

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