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Una particolare modalità disfunzionale è quella degli stati-limite o borderline. Essa emerge dopo la separazione tra la figura materna e il bambino, quando il bambino, pur distinguendosi dal Tu,  non è capace di riconoscere (chiamare per nome) i vissuti che sente o quelli che percepisce nell’altro. È come se dicesse: «so di essere un Io ma non so a chi appartengano i vissuti che avverto in me, né riesco ad essere sicuro di riconoscere i vissuti dell’altro: la vicinanza con l’altro mi confonde. Il latte che sentivo dolce si è rivelato avvelenato: non mi è facile mettere insieme il latte ‘buono’ e il dolore al pancino ‘cattivo’». Se si ricevono ‘nomi’ errati quando si impara il nome dei sentimenti (propri ed altrui), allora la patologia insorge. Ovvero: se l’identificazione delle emozioni viene appresa in modo errato, dopo la separazione dalla madre, quando dovrà affrontare il mondo, il bambino si troverà a disagio perché non conosce le parole ‘giuste’ per i vissuti propri e per quelli degli altri. Esempio classico: una madre, che sprizza rabbia a livello non verbale, dice al figlio «non sono arrabbiata»; oppure, ad un bambino triste e scoraggiato, una madre confusiva dice: «vedi come sei contento e sereno…». 
Il punto è che questo fallimento dei processi di apprendimento – di cui il bambino si renderà conto ‘dopo’ – avviene in un contesto di fiducia, e così l’affettività del bambino si impregnerà di ambivalenza nei confronti di ogni relazione. L’intolleranza della complessità e dell’ambiguità scaturisce da questa angoscia di essere ributtati in una «confluenza» confusiva. Ecco allora la difficoltà di stare sia vicini all’altro, che lontani da lui: bisogno di contatto e terrore di  essere imbrogliati.    
Il fatto che nel disagio psichico grave non si sia formata la competenza al contatto non significa che ne sia espulsa l’intenzionalità: questa rimane come tormento inesauribile. Nelle crisi, poi, esplode l’insopportabile tensione tra la speranza disperata di raggiungere l’altro e l’incapacità altrettanto disperata di raggiungerlo davvero. Per rendere gestibile la tensione di un canto interrotto e insopprimibile  si creano stereotipie o rituali, una zona franca in cui il corto circuito viene devitalizzato.
Giovanni Salonia

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