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La paura di sentire emozioni è antropologicamente insita nel cuore umano. L’uomo si vanta del suo essere ‘animale razionale’, quasi a segnare con l’aggettivo ‘razionale’ il confine che lo nobilita separandolo dall’animale. Si ha paura che un’emozione possa destabilizzare equilibri già assestati nel proprio corpo e nelle proprie relazioni (l’etimo di ‘emozione’ – ex moveo – non rimanda alla spinta ad agire?). La paura delle sensazioni e delle emozioni è connessa con la paura del corpo e con gli impulsi negativi che possono venir fuori dal suo sfondo. Tuttavia, perché l’O. raggiunga l’integrità e la pienezza  del proprio sviluppo, deve sperimentare e vivere tutte le emozioni, con la fiducia nella spontaneità e autoregolazione del corpo e della relazione. Anche a livello culturale siamo passati dalla filosofia del “capire” a quella del “sentire”. 
L’esserci-nel-mondo si comprende nel ‘sentire’ la propria presenza nel mondo: il sentire, in alter parole, è la comprensione dell’A. che ci orienta e ci guida. Il sentire rimanda al corpo come luogo da cui parte una genuine umanizzazione della condizione umana. Tutto questo si apprende innanzitutto nella intercorporeità fra la figura genitoriale e il bambino. Quando il bambino, nel suo corpo che cresce, avverte la tensione del sentire, ovvero l’intensificarsi del ritmo respiratorio che dà forma alle emozioni, ha paura e cerca un corpo che lo accolga, un corpo che, attraverso il contenimento, dia al suo corpo il coraggio che lo rende integro. Se questo accade, il bambino imparerà ad avere fiducia nelle sensazioni corporee, nelle emozioni, e avrà appreso che esse portano alla pienezza relazionale e personale. Se il corpo del bambino non ‘trova’ il corpo dell’adulto (perché assente o impaurito), allora la paura normale delle proprie sensazioni si trasforma – come già descritto – in terrore, diventa fobia: si blocca il respiro che andava ad aprirsi, i muscoli si tendono e viene chiuso ogni varco all’energia emozionale. 
Nella fobia si ha una distorsione percettiva, per cui, onde evitare di sentire determinate emozioni, si connette detta sensazione (di cui si ha terrore) con un oggetto esterno (si sa, è più facile controllare il nemico esterno che quello interno). Goodman scrive: “Il nevrotico è convinto dell’evidenza sensoriale, laddove il sé che si concentra sente una lacuna dell’esperienza”. Per la GT la cifra che, in ultima analisi, coglie l’intima essenza dello stile relazionale fobico sta nel fatto che evitando l’oggetto fobico il bambino protegge la relazione con la figura genitoriale, perché ha fatto la terribile esperienza che portare al confine di contatto quelle sensazioni destabilizzerebbe la relazione per lui fondamentale, in quanto creerebbe angoscia nell’adulto e lui farebbe sentire di nuovo il terrore dell’essere lasciato solo con le proprie paure.

Giovanni Salonia

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