Quando parliamo del “silenzio degli ultimi”, bisogna tener presente sia il punto di vista (e le ragioni) di chi si percepisce ultimo e “zittito”, sia quello di chi, più o meno consapevolmente, non dà spazio e voce all’altro. In questa analisi, a tratti dolorosa, avremo bisogno di evitare due trappole emotive. La prima: colpevolizzarsi reagendo alla presa di coscienza (o alla scoperta) di aver inconsapevolmente “tolto spazio e voce” a qualcuno. Faccio un esempio: se un figlio fa un’obiezione alla madre e lei risponde colpevolizzandosi (“lo so che è sempre colpa mia, io faccio male tutte le cose”), il dialogo si interrompe e viene preclusa ogni possibilità di cambiamento significativo. Se invece la madre ascolta con attenzione la critica, esamina con concretezza i fatti e valuta se modificare o no qualcosa, dà una spinta al miglioramento del rapporto. La seconda trappola emotiva è quella della colpevolizzazione dell’altro (“è tutta colpa tua!”). Per la legge della circolarità relazionale sappiamo che nelle situazioni affettive è sempre difficile (impossibile!) attribuire la colpa a qualcuno in quanto la “punteggiatura delle sequenze è arbitraria”: ha ragione la moglie che dice di arrabbiarsi perché il marito beve, o ha ragione il marito che dice di bere perché non sopporta l’aggressività della moglie? La ricerca del colpevole (di chi ha cominciato) si rivela comunque un vicolo cieco: non aiuta a cambiare la situazione e dà vita ad un’escalation di accuse (“no, è colpa tua perché hai cominciato tu!). Sapienza relazionale e strumento efficace di miglioramento del rapporto è interrogarsi sul modo in cui, non sempre in modo consapevole, facilito nell’altro (o addirittura, provoco!) il comportamento di cui mi lamento.
Giovanni Salonia, Il silenzio di chi ci sta accanto in M. Assenza – L. Licitra – G. Salonia – A. Sichera, Lo sguardo dal basso. I poveri come principio del pensare, EdiARGO, Ragusa II edizione 2006, pagg. 65-67