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Quanta vitalità puoi sentire adesso nel corpo! Agisci! Anche la stanchezza di aver faticato in casa genera energia, ben più della stanchezza del ‘non far niente’ o della noia! Ascolta il fondo inesplorabile del tuo corpo. Il corpo che vivi e il corpo che vive: questo significa sentirsi vivi. Sentire il corpo come un tutto, sentirlo in ogni piega, in ogni spazio. Se accade e riaccade questa danza allora scoprirai che nel corpo c’è il fondo del tuo essere…

Sul quotidiano La Sicilia l’appuntamento ormai settimanale con le riflessioni del nostro direttore Giovanni Salonia.

Quello di oggi ve lo riproponiamo come sempre integralmente anche qui.

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Non troveremo le stesse stelle quando usciremo da questo lungo tunnel. Vedremo altre stelle e orizzonti nuovi. Non ci sarà l’autostrada alla fine, ma una strada diversa, imprevista, non battuta. Siamo infilati in un passaggio che creerà discontinuità. Non sarà come avere imparato una parola straniera: dovremo apprendere una lingua nuova.

“Restare a casa” è un obbligo per sopravvivere. Ma per chi porge l’orecchio è anche un invito a “tornare a casa”, a imparare una lingua inedita, che riemerge da lingue antiche ormai dimenticate. Ad Auschwitz la lotta era tra il “restare umani” delle vittime e il “tornare umani” dei persecutori. Adesso il virus ci chiama paradossalmente a riprenderci la pienezza della nostra umanità, ritornando al cancello da cui siamo partiti, comprendendo che nell’inizio ritrovato c’è il germe del futuro. Soltanto lì potremo apprendere un’altra volta la nostra umanità. “Tornare a casa”. Catapultati nella città e nel creato, ora siamo rimandati a casa, alla casa fatta di muri ma in primo luogo fatta di corpi. È lì che dobbiamo tornare per poter ripartire.

Ripartiamo dunque dalla casa a noi più vicina e da noi più lontana: il corpo. “Il corpo è mio!”. Tutti ci ricordiamo di quest’urlo che ha segnato una svolta sulla via del corpo. Prima del 6 agosto del ’45, prima della ‘bomba’, esisteva solo il corpo sacro del re, il corpo dei comandanti, il corpo istituzione. Il semplice corpo di ognuno, il ‘mio corpo’, non era mio. Era solo un apparato a servizio della specie: per lavorare, fare figli, combattere. Solo cinquant’anni fa siamo approdati al ‘corpo-interiorità’, al ‘corpo identità e relazione’. Oggi, mentre tutto sembra crollarci intorno, ci salveremo solo se ripartiremo dal corpo, se restare a casa sarà un tornare al nostro corpo.

Anche tu, lettore, intraprendi questa via. Pensaci. Ora che ti trovi chiuso tra le tue mura, accorgiti intanto che usi meno lo specchio. Lo specchio che spesso supplisce e surroga il mistero del corpo. Perché normalmente il corpo vede, è visto, ma non può vedere sé stesso. Il corpo non ‘si’ vede. E se non conoscessimo un po’ di anatomia non ne sapremmo nulla: «la nuca è un mistero per gli occhi», diceva Valery. Eppure: videor ergo sum. Solo se sono visto da qualcuno, esisto. Abbiamo bisogno di essere guardati. In questo gioco tra il vedere e l’essere visti abita una sapienza antica, una lingua originaria, come il vecchio cancello. È la storia del brutto anatroccolo di Andersen salvato dallo specchio, del nano distrutto dallo specchio nel Compleanno dell’Infanta, del lago-specchio di Narciso. Ora da questa pressione sentiamo di poterci liberare. Riscopri, lettore, il corpo che gioca, che danza, che si muove, che carezza (i dotti lo chiamano corpus ludens), e il corpo che crea, che tocca (il corpus fabrum).

Quanta vitalità puoi sentire adesso nel corpo! Agisci! Anche la stanchezza di aver faticato in casa genera energia, ben più della stanchezza del ‘non far niente’ o della noia! Ascolta il fondo inesplorabile del tuo corpo. Il corpo che vivi e il corpo che vive: questo significa sentirsi vivi. Sentire il corpo come un tutto, sentirlo in ogni piega, in ogni spazio. Se accade e riaccade questa danza allora scoprirai che nel corpo c’è il fondo del tuo essere. Qualcuno lo chiama ‘inconscio’, qualcun altro ‘essere stranieri a sé stessi’, ma i nomi non sono poi così importanti. Scopri il tuo corpo nei dettagli. Ricordati che Dio e il diavolo si nascondono nelle sfumature. Respira sommessamente. E dolcemente. Incontrerai nel tuo corpo le tensioni che ti affaticano. Leggerai le pagine incompiute della tua storia. Forse in un certo momento della tua vita hai avuto paura. E una ricchezza è stata bloccata da questa paura. Una ricchezza per te, una ricchezza per gli altri. Ricordati di Peter Pan. La sera in cui comincia la storia, la signora Darling resta bloccata, un semplice bacio rimane sulla sua bocca, gentilmente ironica. Un bacio che sua figlia Wendy non poteva afferrare benché esso fosse là, perfettamente visibile, all’angolo sinistro della bocca della mamma. La tensione generata da questo bacio, da questa paura del contatto, è la cifra di tutto il romanzo. Peter non è un bambino che non vuole crescere, è la figura meravigliosa di un bacio mancato, di un bacio non dato. Nasce dal vissuto di Wendy, dal corpo bloccato della sua mamma. ‘Assomiglia’, dice il romanzo, ‘a quel bacio non dato’. Perché un bacio salva la vita. Come sarebbe stata più piena la vita della signora Darling con quel bacio: se non l’avesse trattenuto! Ogni tensione nasce da un ‘trattenuto’ che preme per essere detto.

Ecco perché il respiro è essenziale! Ricordati che respirare ripristina la vita e riporta energia. E quando l’energia del tuo corpo scorre fluida, armonica, anche i tuoi pensieri diventano positivi e luminosi. Sono le tensioni a creare pensieri negativi, relazioni disfunzionali. Se non ascolti il corpo, non puoi ascoltare i tuoi desideri. Non puoi porgere l’orecchio al creato. Al suo ritmo, al suo respiro. Non puoi dire parole che raggiungano il corpo dell’altro, il corpo di chi è in casa, di chi è vicino a casa tua. Non potrai avere uno sguardo buono, quello che ognuno di noi si aspetta e che effonde sull’altro anche se l’altro non ti vede, come l’onda di una campana tibetana.

Giulia ama il vento. Le chiedo perché. Mi risponde: «Da piccola era l’unico che carezzava il mio volto». Figlia del vento… il creato le ha insegnato a carezzare i corpi.

 

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