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Celebriamo, con i due numeri speciali (il 9 e il 10) della nostra rivista annuale, il quarantesimo anniversario del nostro Istituto e i 70 anni dalla nascita della Gestalt Therapy. Nel numero 9, in particolare, abbiamo ripercorso la nostra storia, il nostro legame con i grandi maestri che ha plasmato le origini del modello e le ricerche che ci hanno condotti a evolverne una nostra interpretazione, una nostra via, che oggi ci consente di parlare di modello GTK.

Condividiamo di seguito un estratto dall’articolo della dott.ssa Valeria Conte “Quarant’anni di Gtk tra teoria, ricerca e pratica clinica”.

Nella prospettiva della Gestalt Therapy, ogni modello epistemologico che si occupa di cura deve rinnovarsi per un adattamento creativo al proprio contesto sociale. La mancata connessione, afferma Salonia, tra Psicoterapia e Contesto Sociale rende debole il Modello: «Ogni contesto sociale in base alla situazione storico culturale che attraversa genera un preciso e prevalente modello di stare in relazione. Esso si fonda sul presupposto secondo cui ogni società, per rispondere alle esigenze della propria sopravvivenza, decide la priorità tra individuo e società assegnando, a seconda del contesto, il primato all’uno o all’altra».

Ripensare ai cambiamenti sociali in riferimento ai modelli relazionali di base che prevalgono nei diversi periodi storici, ci dice molto anche sugli inizi della teoria della GT. Infatti, fu proprio in riferimento ai cambiamenti culturali e sociali degli anni ’50 che la GT elaborò una nuova clinica del disagio psichico, con innovative intuizioni sulla comprensione dell’emergere di nuove patologie, quali il Narcisismo e il disturbo Borderline, e sulla necessità di cambiare il modo di curarle: «Di fatto nascono in quel tempo le nuove espressioni di questo disagio che colludono con un tipo di cura repressiva e con modelli psicoterapici che ritengono che bisogna adattarsi alla civiltà come principio fondante della condizione umana: adattarsi a non essere profondamente se stessi».

Erano anni in cui i pazienti non accettavano la passività del modello psicanalitico ed esprimevano un rifiuto ad introiettare le interpretazioni. In questo contesto emersero il bisogno di esprimere la propria soggettività e la fiducia nell’autoregolazione, processi attraverso cui poter dare valore e significato alla propria esperienza come espressione del proprio potere personale. La società era cambiata: non più forte e verticistica come ai tempi di Freud, negli anni ’50 la società era determinata profondamente dalla figura della soggettività. Al nuovo modello di società orizzontale erano connessi quindi nuovi modelli relazionali di base ed emergeva il Modello Relazionale di Base-Io, dove il primato della soggettività e dell’autoaffermazione erano i punti chiave per fare un salto qualitativo nei rapporti interpersonali.

Questi modelli di società oggi hanno lasciato spazio alla società liquida postmoderna, dove il modo in cui le persone stanno insieme e vivono le loro relazioni nei diversi contesti ha richiesto il superamento del MRB-Io. Alle relazioni è richiesto un ulteriore salto qualitativo, che tenga conto dei cambiamenti intimi e sociali, lavorativi e familiari. È in particolare in contesti come questi che oggi spiccano tutto il disagio e il limite nell’incapacità di coniugare l’espressione delle diverse soggettività all’interno delle relazioni.

[V. Conte,  “Quarant’anni di Gtk tra teoria, ricerca e pratica clinica”, Rivista GTK 9, 2023]

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