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La malattia erode i ricordi in senso retrogrado: nei primi anni vengono persi i ricordi più recenti e poi, gradualmente, i ricordi autobiografici. Questo fa sì che il paziente si trovi in un tempo mentale che non corrisponde al tempo cronologico. A ciò si aggiunge la difficoltà a collocare i volti familiari nelle proprie conoscenze e a dare un nome e un ruolo aggiornato a quei volti. Il paziente vive una realtà percettiva non condivisa e di conseguenza non comprensibile, per cui le sue azioni risultano, spesso, prive di senso, a volte pericolose per sé o per gli altri. L’Organismo a causa delle affezioni cerebrali che intaccano trasversalmente le funzioni mnesiche, attentive, percettive, emotive, linguistiche ed esecutive, non riesce a essere presente ‘con lucidità’ all’esperienza, così da recuperare dalla memoria corporea le sensazioni che l’esperienza stessa ha attivato, identificarle, riconoscerle come proprie e operare scelte intenzionali e adattative. Il senso di sé corporeo-identitario-spazio-temporale necessario all’esperienza dell’esserci ‘tra’ nel paziente con DA è sempre più dis-integrato. Sappiamo che l’epicentro della traità è il corpo poiché, nel percepire i cambiamenti al suo confine di contatto (organi sensoriali, pelle, parole), il cervello elabora le proprie rappresentazioni della realtà ambientale. Nel caso del paziente DA c’è un corpo che sente ma non sa cosa e chi è nel qui e ora: l’esperienza si frammenta e il Sé non è più elemento di integrazione. Si altera la continuità funzionale tra processi biologici e processi psicologici, tra cervello-corpo-mente e coscienza di sé.

Grace Maiorana e Barbara Buoso, Il frammentarsi delle traità nella demenza di Alzheimer. Ed io avrò cura di te: ricucire trame smarrite, in GTK 6, Rivista di Psicoterapia, Maggio 2016, pagg. 19-20



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