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Nella relazione terapeutica, per definizione, è il terapeuta a dirigere le danze, perché nel momento in cui il paziente formula una richiesta di aiuto si pone in una posizione down. Ma nei pazienti gravi non c’è consapevolezza di ‘malattia’, non viene espresso un bisogno d’aiuto, l’incontro è vissuto con terrore e la danza si tramuta in fuga dalla relazione. Nella terapia con i pazienti gravi il tempo si dilata inverosimilmente ed il ciclo di contatto si cristallizza nella confluenza. Il linguaggio di questi pazienti, semplice ed immediato, per molti versi infantile, veicola l’angoscia ancestrale di morte imminente. In tale contesto emotivo-esistenziale non è visibile, nel loro campo ottico, né il terapeuta né il gruppo né lo spazio relazionale. È il loro bisogno emergente, allora, che dirige le danze.
Paola Argentino

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