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Il linguaggio del PBL può essere definito un ‘falso amico’…
Nella terapia con i PBL si cerca spesso, infatti, di imporre una lingua – quella del terapeuta – non considerando il linguaggio borderline come ‘straniero’, ma come ‘strano’. L’equivoco di fondo – secondo il modello GTBL – è dovuto al fatto che il PBL usa le parole di una lingua secondo il loro significato idiografico, per cui sembra parlare un altro linguaggio. La sua scelta semantica richiama il fenomeno dei termini ‘falsi amici’, che, nonostante notevoli somiglianze morfologiche o fonetiche, si riferiscono a significati differenti e, a volte, anche opposti. Il linguaggio del PBL può essere definito un ‘falso amico’: sembra costruito, infatti, sull’universo semantico degli altri, ma in realtà si colloca su un altro universo di significati. Definendo il presente modello di lavoro gestaltico con i PBL si intende assumere come compito terapeutico l’epistemologia della traduzione. Per tradurre bene, come si diceva, è necessario rispettare e conoscere adeguatamente ambedue le lingue. Con tali strumenti la traduzione fa emergere la ricchezza di sfumature e di sensibilità che ogni lingua contiene. In questa prospettiva il terapeuta si accorge che proprio dal PBL si può apprendere molto: la terapia diventerà un viaggio interessante e per molti versi fascinoso verso l’esplorazione di pieghe segrete (ma determinanti) del cuore umano. L’insopprimibile ed ostinata ricerca di chiarezza da parte del PBL aiuterà il terapeuta a diventare più consapevole delle proprie incoerenze, più chiaro nelle relazioni di cura, più preciso nell’uso del linguaggio.

Giovanni Salonia, La luna è fatta di formaggio. Traduzione Gestaltica del Linguaggio Borderline (GTBL), in Giovanni Salonia (ed.), La luna è fatta di formaggio.  Terapeuti gestaltisti traducono il linguaggio borderline, ed. Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2013, pag. 14-15



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