A questo punto emerge come le conclusioni freudiane di una invidia incurabile derivino da un errore di lettura del fenomeno. È come se Freud avesse reso universale un tema legato molto al proprio contesto culturale (in una società in cui essere maschi produce vantaggi sociali, il pene viene invidiato per quello che significa). In realtà la teoria dell’invidia del pene non tiene conto – come molte teoriche del nuovo femminismo hanno evidenziato – del fatto che nella struttura percettiva delle donne la dinamica sessuale non è legata al vedere come è nei maschi. Per la struttura percettiva e corporea della donna, l’orientarsi nel mondo dipende meno dal senso della vista e più dal cinestetico: è attraverso sensazioni, infatti, prima ancora che a livello visivo, che la madre entra in contatto con il bambino. Anche nell’emergere del desiderio erotico, il registro visivo nella percezione maschile è più determinante che in quella femminile. La definizione di ‘cicatrice’ della sessualità femminile è chiaramente, dunque, una percezione non immediata ma appresa. Anche il paragone della clitoride con il pene – causa dell’invidia – è frutto di una chiara lettura maschile centrata sul visivo (la clitoride, infatti, non è visiva perché ha la funzione di stimolare il piacere a livello cinestesico). La bambina quindi può invidiare il giocare con il pene del fratellino così come il maschietto può invidiare la femminuccia se la vede divertita ed applaudita quando gioca con le bambole.
Anche rimanendo sul registro visivo, l’analisi di Freud risulta carente, in quanto manca, nella sua teoria evolutiva dell’invidia del pene, la costellazione intercorporea della famiglia: il bimbo invidia il pene grande del padre e i seni della madre. L’equivoco freudiano si riversa, quindi, nella confusione vedere/sentire che fa paragonare il pene alla clitoride. Il primo colpisce la vista mentre la clitoride viene sperimentata fondamentalmente sul registro del sentire. Per alcuni, la teoria dell’invidia del pene sarebbe un’ulteriore dimostrazione che l’invidia è un vissuto di cui ci si vergogna.
Giovanni Salonia (ed.), “I come invidia”, Cittadella Editrice – Psicoguide, 1° Edizione Marzo 2015, pagg. 60-61