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Demolire il suo [di Giuseppe (4 a.)] evitamento della rabbia significa comunicargli la fiducia nel suo organismo: lui può farcela. Occorre far sì che la sua aggressività, imbrigliata e inibita, torni ad essere biologica. Quanto più egli si permetterà di esprimere crudeltà e brama di distruzione nel posto biologicamente corretto – i denti –, tanto meno correrà il pericolo che l’aggressività rischi di esplodere in maniera incontrollata. Potrà così sperimentare il gusto dell’aggressività come energia propositiva, come forza liberante. Il gioco drammatico permette a Giuseppe di vivere in maniera protetta e supportata le sue emozioni. Egli sceglie di impersonare sempre il ruolo del papà forte che garantisce la legge e si arrabbia se i figli combinano monellerie. Dopo un po’ di tempo passato a rivestire sempre questo ruolo, chiede un giorno di poter fare il figlio piccolo che nasce dalla pancia della mamma (la maestra): stavolta è lui che combina le monellerie e distrugge le cose di casa facendo arrabbiare la mamma. Poter sperimentare nel gioco entrambi i ruoli – quello dell’autorità e quello della sovversione – gli permette di masticare le sue esperienze e le sue emozioni, di esplorare senza danni le polarità buone e quelle cattive e di poterle integrare nella vita, sciogliendo quei blocchi che non consentono il fluire dell’esperienza e il goderne appieno. Adesso Giuseppe è un po’ più sicuro di sé e più integrato nel gruppo dei compagni, rivendica i suoi diritti e le sue necessità, anche se a volte ricorre ancora all’aiuto della maestra, nella quale cerca la forza e il supporto necessari. Compito gestaltico di chi si prende cura è allora liberare la sana aggressività, la forza vitale. In tal modo aree sempre più ampie di consapevolezza vengono assimilate allo sfondo e lo sfondo può assolvere alla sua funzione, quella di fungere da supporto per il contatto.
Dada Iacono, Gheri Maltese, Come l’acqua… Per un’esperienza gestaltica con i bambini tra rabbia e paura. Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2012, pagg. 73-74



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