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[…] Nell’orizzonte della soggettività si parte dal corpo, o meglio, dal respiro. Chi sente il proprio respiro rinasce. Ce lo ricorda la storia raccontata da Goodman: «Iniziò a respirare flebilmente la sensazione di sentirsi smarrito. Assaporò l’elisir di sentirsi smarrito: tutto ciò che capita deve essere necessariamente una sorpresa. Egli non poteva più dare senso alle cose per lui essenziali (che non lo avevano mai fatto felice); le sentiva fuggire lontano da sé; eppure non si aggrappò ad esse come un disperato. Invece toccò il suo corpo, si guardò attorno, e sentì ‘qui sono io e adesso’ e non fu preda del panico». Il respiro porta a sé stessi e all’altro: scoprire il proprio respiro significa aprirsi al respiro dell’altro, a quello degli alberi, a quello della vita. La parola costruisce trame relazionali, quando nasce dal mio respiro e raggiunge il respiro dell’altro. Il respiro parla e la parola respira. Anche se in lingue differenti, gli umani si incontrano quando si donano parole piene del loro respiro e capaci di raggiungere le vibrazioni dell’altro. Il punto è accordarsi, trovare il ritmo giusto, perché le parole che vanno e vengono da me all’altro diventino melodia.
Giovanni Salonia

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