Il restringimento dell’area di coscienza e la depersonalizzazione possono condurre sia ad un aumento insostenibile della tensione (da cui gli agiti di cui sopra), sia ad una drastica diminuzione della sensibilità. Anche in questo caso, la lettura della GT pone l’accento sull’emergere di tali vissuti al confine di contatto nella relazione con l’altro. Una paziente mi descrive un’esperienza ricorrente in cui, quando si trova a dover scegliere se esporsi o meno professionalmente davanti a persone che non conosce, avverte una sensazione di angoscia, un contrarsi dello stomaco e al contempo un senso di svuotamento della ‘testa’. «Da che mi sentivo tranquilla, presente nella situazione, vado in black out, non riesco a formare pensieri. Mi sembra che la testa sia staccata dal corpo, mi sento intontita e anche la vista si abbassa, pure l’udito. La stanza diventa più grande, le persone più lontane… sembra una scena al rallentatore». Le chiedo a questo punto che fine faccia la sensazione di forte angoscia. «In effetti a questo punto si placa. Non sento granché, come se fossi anestetizzata. Continuo a dirmi che non sono capace, che farò una figura terribile, che tutti vedranno che sono fatta male. I pensieri continuano, ma nel corpo non sento nulla. È un po’ come galleggiare. E lascio parlare qualcun altro». Sembra che la depersonalizzazione e la desensibilizzazione siano un modo per tollerare l’ambiguità intrinseca della situazione. Nel non poter decifrare cosa stiano pensando e sentendo gli altri nei suoi confronti, né potendo discriminare le proprie emozioni di paura, eccitazione etc., la soluzione è attutire l’ondata incomprensibile ‘spegnendo il corpo’. La complessità del campo viene così semplificata.
Andreana Amato, “«…Come se fossi nata ‘dispara’…» Il modello di Traduzione Gestaltica del
Linguaggio Borderline (GTBL). Attestazioni cliniche”, in G. Salonia (ed.), La luna è fatta di formaggio. Terapeuti gestaltisti traducono il linguaggio borderline, Ed. Il pozzo di Giacobbe, pagg. 99-100