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Questa falsa e ingannevole empatia assume, così, i toni di una precoce iperdefinizione del bambino («Certamente sei triste, fatti consolare…») ed è in questo essere stato ripetutamente e sistematicamente definito dall’altro, senza essere stato visto e/o prima ancora di aver completato la propria esperienza, che ha origine il Linguaggio Borderline (BL). Questa negazione dell’esperienza, presentata come empatia, al posto dell’ascolto, del sostegno, del rispetto delle differenze e delle richieste di autonomia del bambino e del suo corpo, diventa un imbroglio. Da adulto verrà fuori la sofferenza di quell’imbroglio e la confusione emergerà come difficoltà ricorrente di collocarsi nelle relazioni. «L’intolleranza della complessità, nel PBL, scaturisce proprio da questa angoscia di essere ributtati in una ‘confluenza’ confusiva», dove non è facile distinguere chi agisce, chi vive le tensioni; ed è qui che ha origine la difficoltà a stare sia vicini che lontani dall’altro: bisogno di contatto e terrore di essere imbrogliati. Appartenere e separarsi divengono, allora, competenze relazionali non più fluide ma ambivalenti: modelli relazionali instabili, dall’estrema dipendenza alla superficialità effimera, laddove coesiste la paura di dipendere e la paura di essere abbandonati. In genere queste paure oscillano, ma possiamo avere pazienti più centrati sulla paura di essere abbandonati (sono allora figure dipendenti, che si aggrappano alle relazioni con eccessive richieste d’affetto, angosciati dalla sensazione di essere abbandonati o rifiutati) oppure più focalizzati sulla paura di essere fagocitati (dove l’angoscia è quella dell’annullamento, dell’invasione da parte dell’altro).
Gabriella Gionfriddo, La trama relazionale borderline. Traduzione gestaltica dei criteri diagnostici del DSM -5 (Modello ‘Alternativo’), in G. Salonia (ed.), La luna è fatta di formaggio. Terapeuti gestaltisti traducono il linguaggio borderline, Ed. Il pozzo di Giacobbe, pag. 70


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