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Volgiamoci ora velocemente, per chiudere, agli aggettivi e agli avverbi. Tra i primi domina in maniera incontrastata e “logica” la forma «little», con 103 occorrenze (si pensi che «good» segue a 41). Si tratta di un refrain del romanzo che mette ovviamente in primo piano la questione dell’essere piccoli, di cui ci siamo per altri versi già abbondantemente occupati. Il punto di vista per noi più interessante rimane dunque quello contrastivo, del rapporto implicito di «little» con «big», ovvero con «adult». Perché se Peter è il bambino che non ce la fa a diventare adulto, che non può essere padre, di fronte a lui si pone nel romanzo la figura inquietante di Uncino. Ma chi è Uncino? Il capitano nemico di Peter è in fondo il suo doppio adulto, rabbioso e cattivo. Non è un caso che sia Uncino a mordere la mano del divino fanciullo pronto ad aiutarlo, mostrando così ai nostri occhi una slealtà simbolica: quella dell’adulto che tradisce la fiducia indifesa del bambino. Uncino è solo, vittima della cura mancata e dell’assenza materna. È l’adulto che il nostro eroe potrebbe diventare, il grande che verrebbe fuori dall’ombra del piccolo Peter: pieno di rabbia verso tutti, scontroso e livoroso, sempre in rotta con i suoi e costantemente minacciato dall’angoscia della morte, sotto la spada di Damocle del tempo che passa. Mentre Peter ha reagito alla solitudine e al gelo parentale, si è aggrappato mirabilmente alle proprie risorse infantili, lasciando pur reattivamente da canto la tristezza dell’ombra e appoggiandosi ai tesori del gioco, Uncino ha sviluppato il medesimo narcisismo adolescenziale di Mr. Darling e appare nel romanzo quale icona di una paternità rancorosa, misera d’animo e incapace di cura, perché inadatta all’ascolto di sé.

Antonio Sichera, Le venti parole di Peter Pan, in Giovanni Salonia (ed.), La vera storia di Peter Pan. Un bacio salva la vita. Cittadella Editrice – 1° Edizione, 2016 pp. 58-59


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