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C’è sempre una motivazione relazionale dietro un comportamento disturbato del paziente che si può esprimere anche attraverso il farmaco che, nel caso di Carlo, ha rappresentato ‘l’equivalente relazionale’, ovvero l’equivalente di una richiesta di relazione dove la sostanza prescritta viene vissuta come cibo per colmare il bisogno naturale dell’intenzionalità al contatto con gli altri, o come dono dell’altro (del terapeuta nella fattispecie) verso di sé. Se lo psichiatra, consapevole delle proprie disfunzioni di contatto, contestualizza l’intervento farmacologico all’interno della relazione, la prescrizione assume valenza psicoterapica ed il farmaco ne diviene la sua espressione.
Paola Argentino

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