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“Non possiamo passarci sopra,
non possiamo passarci sotto,
dobbiamo per forza…passarci attraverso”
tratto da “A caccia dell’orso” di Micheal Rosen

 

Incipit

  1. “E tu? Come te la stai passando?” 
  2. “In che senso?”
  3. “Nel senso che, in quanto psicoterapeuta, in questa situazione anche tu ti trovi in prima linea”.

Questa una conversazione avuta con la mia vicina di casa, che mi ha fatto pensare: “Sì, è proprio così!”.
E proprio per questo credo di aver voluto portare avanti con così tanta passione e determinazione il lavoro, grazie anche al sostegno delle mie colleghe.

Essere terapeuti di bambini e bambine al tempo del Coronavirus: l’adattamento della Funzione Personalità Terapeuta

Spesso in questi anni mi sono sentita fortunata nell’essermi imbattuta a un certo punto della mia vita nella Gestalt Therapy e nell’averne potuto fare uno strumento privilegiato del mio lavoro con i bambini e le famiglie, ma devo dire che mai come in questo frangente sento quanto prezioso e unico sia essere una psicoterapeuta della Gestalt. 

Avere a disposizione concetti come l’adattamento creativo, il ground terapeutico, il campo relazionale, il confine di contatto, la funzione personalità e l’ “autorizzazione” a potermi inventare, o meglio co-creare il modo di stare con i miei pazienti e ‘pazientini’ a partire dalla condizione che viviamo, è quanto di più prezioso io possa avere con me in questo momento.

Invece che fermarmi nella terapia, come molti miei colleghi terapeuti dell’età evolutiva, io ho potuto chiedermi come potevo continuare la terapia dei miei piccini.
Le domande che mi hanno accompagnato fin dall’inizio sono state: “In che modo posso continuare ad essere terapeuta con i bambini e le bambine in questa circostanza?” “In che modo continuare le situazioni di gioco?” “Come posso re-inventarmi?”.

Non l’ho fatto da sola ma all’interno di un cerchio, attraverso un confronto bisettimanale con due colleghe che con me condividono la teoria e la pratica della Gestalt nell’ambito dell’età evolutiva. 

L’ho fatto attraverso lunghe conversazioni, avvenute grazie alle nuove tecnologie, solo così abbiamo potuto vederci, parlarci, appoggiarci vicendevolmente l’una all’altra, avviando un processo di ricerca per proseguire la psicoterapia con i bambini e le bambine ai tempi del coronavirus e delle restrizioni governative. E questo mi ha aperto, ogni giorno da quasi due mesi, sempre nuove ipotesi, possibilità, sperimentazioni. 

Forse da sola avrei potuto anche arrendermi, ma non lo volevo proprio e non lo pensava nessuna di noi, desideravamo continuare ad essere presenza terapeutica nella consapevolezza del sostegno dato sino a questo momento a ciascuno/a dei nostri/e pazientini/e e alle loro famiglie, nella riflessione dei possibili bisogni emergenti e nella conoscenza dei vissuti che circolano durante e dopo le situazioni di emergenza.  

Non mi sembrava una buona soluzione quella di interrompere le terapie, tra l’altro senza nemmeno sapere per quanto tempo, generando una “sospensione nella sospensione”. Decisamente troppo anche per me questo senso di impotenza, questa incertezza, e così è arrivato forte e chiaro il mio pensiero: era necessario lavorare per preservare il legame, il pensiero, l’azione della relazione di cura. 

Mi sono radicata nella condivisione, ci siamo “strette” e prese cura dei nostri reciproci vissuti, quelli di persone, di professioniste, di donne, di mamme; abbiamo condiviso le nostre, le mie preoccupazioni e al contempo le prime idee su come fare per proseguire; ci siamo fermate/aperte a raccontare le nostre progettualità terapeutiche; abbiamo fatto il punto sulle terapie in corso e tenuto dentro di noi e tra di noi le fila di tutto ciò che stava accadendo sia nelle nostre vite ma soprattutto in quelle delle piccole e grandi persone che si erano affidate a noi prima di questa dolorosa pandemia.

Insieme abbiamo creato un lavoro “su misura” per noi e per i nostri pazientini, arrivando a coniugare tempo storico (quello della pandemia con le conseguenti esigente socio culturali – kronos) e tempo vissuto (kairòs).

In questo abbiamo tenuti stretti a noi alcuni dei capisaldi della terapia gestaltica, in particolare lo stare nel qui e ora, di quello che è, ognuna di noi a contatto con l’esperienza di ciascuno dei  nostri pazientini.

Stare nel qui e ora

Un bambino oggi, attraverso lo schermo, mi mostrava orgoglioso la sua maglietta da calcio, e con tutto il calore che è riuscito a costruire in terapia mi mostrava la sua gatta, il suo pesce rosso e me ne parlava con affetto ed emozione. Sicuramente non è stata una seduta di terapia “tradizionale” la nostra, ma quanto terapeutico è per lui che continuiamo a vederci, a mantenere il nostro appuntamento, a salutarci, a raccontarci come va e a trovare dei giochi da fare assieme nonostante tutto.

Con un altro bambino (che vive grandissime difficoltà nello stare nell’intimità delle relazioni e a contatto con la sua fragilità tanto da doverla nascondere attraverso esagerate dimostrazioni di forza e durezza) grazie alla distanza della videochiamata abbiamo potuto accorciare le distanze tra di noi come mai eravamo riusciti a fare prima! Da qui sono emerse importanti novità e possibilità tra noi: una piacevole conversazione,  una piacevole partita a scacchi e poi l’espressione del suo desiderio di avere un animale domestico e la valutazione fatta assieme di poterlo chiedere ai suoi genitori senza usare me come tramite.

Una bambina molto fragile, invece, del limite della distanza è riuscita a fare una possibilità incredibile: è riuscita a sforzarsi di spiegarsi con le parole ed è riuscita a comunicarmi la distanza che voleva io tenessi dallo schermo, così da non sentirmi né troppo vicina da invaderla né troppo lontana da farla sentire in preda a un confusivo abbandono, esercitando appieno e in modo inedito una buona Funzione-Io. Ha risposto alla videochiamata chiedendomi di aspettarla un attimo, mettendo tra noi per la prima volta un’attesa “fertile”: stava facendo un disegno per me, un cuore rosso, disegnato anche se non si sentiva tanto capace, con una scritta in azzurro “bene”. Poi lo ha avvicinato allo schermo e io l’ho preso dal mio, come se uscisse, anzi è uscito, ne sono convita, e le ho mostrato quanto era bello tenerlo tra le mie mani. I nostri occhi si sono sorrisi, riempiti di gioia e di quel bene che abbiamo costruito e non abbiamo perso.

Un altro “piccolo grande” pazientino, che nelle sedute lasciava poco spazio al suo sentire ed alle sue emozioni, vedendoci su Skype invece “sottolinea” con le “emoticon” i passaggi che facciamo insieme, riuscendo così finalmente a manifestare e a comunicarmi ciò che non riesce a dire a parole.

I bambini, che incredibili! Loro condividono quello che vivono e se sono obbligati a stare in casa…condividono la casa. E se sono obbligati a usare lo schermo…portano la terapia nello schermo. 

Testimoniano nella loro immediatezza che stare nel qui e ora è cogliere quello che c’è, non solo quello che manca.

Da casa i bambini sono molto felici di farmi vedere la loro cameretta, i loro peluche, i loro animaletti domestici e troviamo dei modi per giocare assieme comunque, con quello che questo strumento della video chiamata permette, nonostante tutto. 

Tra l’altro mi è davvero utile poter vedere la loro realtà domestica, mi aiuta a tener conto di più dell’ambiente in cui vivono, la trovo una possibilità eccezionale. Anche perché gli ambienti parlano, trasmettono atmosfere e climi, e vedere i bimbi nei loro ambienti mi dà molte informazioni. Che occasione inaspettata per la terapia!

Risorsa, non solo limite. 

Ecco cosa possono essere le terapie condotte in un modo “diverso” con i bambini e le bambine, oggi,  in modo “straordinariamente creativo” e la cui intenzionalità è quella del “Io continuo ad esserci, qui, in questo momento, insieme a te”.

Il sostegno alla genitorialità

Riflettere sulla “co-creazione” della relazione terapeutica con i bambini e le bambine nel “Qui e ora” ha aperto alla necessità di riadattare a questo tempo anche il contatto con i genitori, per non lasciarli da “soli” con i bambini (e non sentirmi a mia volta “sola” con i bambini) e orientarmi rispetto ai loro bisogni. 

Le domande costantemente presenti sono: “E con i genitori?” “Come posso esserci per loro, e come posso sostenere la loro funzione genitoriale in questo tempo?” “Quale nuovo coinvolgimento posso attivare in loro nel percorso di terapia dei loro bambini?”.

In questo periodo così incerto con le colleghe ci siamo trovate a relazionarci con genitori disorientati, che forse mai si erano trovati a vivere così tanto tempo insieme ad i propri figli e si trovano a doversi re-inventare, giorno dopo giorno come fare e come stare con loro. 

Ecco che con la nostra funzione terapeutica diventiamo un’ulteriore risorsa: coloro che, con il loro radicamento, possono aiutarli e guidarli anche nell’orientare nuovamente la loro funzione genitoriale oltre che continuando la terapia con i loro bimbi. 

Noto che questa “distanza” mi ha imposto fin da subito uno stretto e continuo dialogo con i genitori, soprattutto nel primo periodo delle restrizioni governative, che poi è divenuto spontaneamente  parte integrante di questa nuova esperienza terapeutica.

Questo dialogo continuo mi consente di conoscere di più alcuni genitori in queste settimane che in mesi o anni di terapia! 

Sarà perché il dialogo tra noi diviene come più vero, più palpitante, e forse in questo momento vedersi, al di là di tutto e nonostante tutto, è vitale e il dialogo con i genitori ne giova particolarmente. Probabilmente anche il fatto di vivere la stessa situazione esistenziale aggiunge con più forza la condizione umana tra noi, senza confondere ruoli od obiettivi ma arricchendoli di emozione.

Così posso stare con i genitori e con quello che vivono, settimana dopo settimana.

Penso che vedersi, sorridersi, condividere come stanno i loro bambini è l’azione più terapeutica che posso giocarmi, passando il messaggio che io, come loro, “continuo ad esistere” anche in questo spazio ed in questo tempo così straordinariamente cambiato.

E sento la densità di ciò che avviene tra i nostri corpi, mentre ci emozioniamo nel guardarci attraverso uno schermo e parliamo delle difficoltà che affrontano e cerco con tutte le mie risorse di cogliere la possibilità, non solo il limite, di quello che stanno vivendo, per aiutare e sostenere la loro funzione genitoriale. 

Con alcuni abbiamo dovuto affrontare anche la prospettiva che perdano il lavoro e vadano in cassa integrazione e abbiamo cercato di capire insieme come adattare la terapia, aiutandoli a non perdere tutto il percorso fatto, mentre “perdono” ciò che avevano cinque settimane fa: una quotidianità, un lavoro, delle prospettive familiari e personali.

Nel mentre mi chiedo cosa, come, quanti e quali compensi chiedere, mentre anche la mia quotidianità si è interrotta, anche io sono qui confinata in casa e affronto “giorno dopo giorno” la sfida di questa nuova “dimensione” impegnata tra famiglia e lavoro – tutto nello stesso luogo. 

Il punto, oggi, è esserci nonostante tutto, esserci anche con i genitori, nel qui e ora, di quello che stanno vivendo. Non accettare di scomparire, di non esserci più, mentre il ground salta. Non rinunciare alla presenza che sostiene, anche se non ci si può continuare a vedere “dal vero”.

E’ mantenere il filo della relazione e attraversare insieme questo periodo, narrarcelo, emozionandoci, ed andare avanti aspettando di capire. Un passo alla volta senza perdere il contatto.
E’ tenere, custodire e preservare una continuità e prevenire così la traumaticità che l’interruzione della quotidianità può portare nel vissuto.
E’ aiutare una funzione genitoriale di protezione nonostante quello che sta accadendo.
E’ accompagnare i genitori ad accompagnare i loro bambini a stare, a vivere, a giocare nonostante tutto.
E’ tenere i fili nella rottura della quotidianità. E’ aiutarli a tenere i fili nell’interruzione della vita. Affinchè l’interruzione della quotidianità non divenga angoscia, non divenga vuoto assordante, non divenga interruzione di contatto, non divenga trauma. 

Intercorporeità: qui e ora….e il next?

E’ la nostra prima seduta tramite Skype. Il mio piccolo/grande paziente è dall’altra parte dello schermo, entusiasta di potermi mostrare per la prima volta i suoi luoghi: la sua cameretta, la sua casa, il suo cane, il posto che preferisce per disegnare. 

Penso a come sia stato pienamente presente per tutto il tempo della seduta. Penso alle preoccupazioni anticipate dalla famiglia (“non so se manterrà l’attenzione per tutta l’ora”). Penso che abbiamo voluto “darci una possibilità” e provare, vedere come andava.

Ma lui è lì. Davanti a me. Ed è stato “presenza” per tutto il tempo. 

Penso al grande sforzo che è stato per lui. Al grande sforzo che è stato per me. Penso che vorrei abbracciarlo. Per la prima volta da quando la terapia è iniziata, penso che vorrei avere questo gesto nei suoi confronti. Ma non si può. Non adesso con uno schermo a dividerci. E dopo? No, forse nemmeno dopo. Ma quell’abbraccio lo sento nelle mie “braccia”, e lo sento al susseguirsi di ogni incontro, e mi chiedo quanto dovrà “aspettare” prima di poter diventare “gesto pieno”.

In questo momento caratterizzato dal “distanziamento sociale”, mi ritrovo a chiedermi cosa tutto questo lascerà nei nostri corpi. La gestualità dello “stringerci la mano”, che tanto faticosamente avevamo conquistato con il tempo, adesso rimane sospesa. Ma si sente. Si sente nel mio corpo. Si sente in lui. Mi chiedo quale adattamento troveremo, se i corpi diverranno “corpi de-sensibilizzati” o se troveranno nuove modalità per esprimere vicinanza, calore comprensione, … Mi chiedo come il nostro ritrovarci in studio con le mascherine cambierà il modo in cui i nostri corpi stanno insieme. 

Domande e pensieri si susseguono in me e nel mio lavoro, ed in tutto questo noto come, dopo settimane di lavoro con i pazientini via Skype, il mio corpo naturalmente ricerca il modo in cui stavo insieme a loro in studio, nel modo in cui siedo, nella vicinanza che mantengo. 

Domande e pensieri, su quale sarà l’emozione quando ci potremo rivedere ma non toccare.
Ed ancora, rivedere e, finalmente, abbracciare o stringere la mano. 

Cose resterà nei nostri corpi di questa esperienza che ha “sospeso” l’essere presenza anche e soprattutto fisica con l’altro? In noi e soprattutto nei più piccoli, così sensibili all’inter-corporeo, alla mimica facciale, alla prossimità, agli odori,…? 

Cosa resterà? Non possiamo prevederlo. 

Possiamo solamente accoglierlo. Restare in “attesa” della prossima, naturale ed inevitabile evoluzione di questa situazione, che da “straordinaria” sta entrando nell’ “ordinarietà” delle nostre vite, del nostro sentire. 

Cosa resterà? Non possiamo prevederlo. 

Possiamo solo aspettarlo ed attraversarlo: “dobbiamo per forza…. passarci attraverso”.

Mabi Cinquini, Sara Marinelli, Sara Pretalli

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