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Il potenziamento che l’organismo umano riceve nel momento in cui si affaccia nel processo evolutivo l’apprendimento del linguaggio è da considerare eccezionale, nonché strettamente correlato alla formazione della personalità: è la personalità ‘linguistica’, consapevole di sé, capace di dirsi e quindi di comunicarsi e comunicare, il grande balzo in avanti che ci costituisce per quello che siamo e ci consente di proiettarci nel mondo. E che questa dimensione di autoconsapevolezza linguistica sia centrale viene apertamente dimostrato dall’analisi del triplice movimento dell’atto del parlare, in cui c’è sempre un «esso», il messaggio, un «io», lo stile e il tono di colui che parla, e un «tu», l’atteggiamento retorico, il desiderio, rivolto verso l’altro, che è espresso dalla parola pronunziata (e, come abbiamo ormai capito, atteggiamento o abitudine retorica è lo stesso che dire «personalità»). Ora, è proprio il livello del «tu» che viene in primo piano nell’atto poetico, quando il poeta non ha fisicamente davanti alcun interlocutore ma si costruisce il proprio pubblico ideale ‘dando del tu’ a sé stesso e riuscendo a riplasmare in questo «tu», ovvero nel gioco della funzione personalità, i tanti «tu» che la sua storia ha ospitato, assimilato o che – soprattutto – hanno lasciato nel corpo una ferita aperta che blocca il fluire del contatto. Senza questa capacità di ripresa linguistica del sé tipica della funzione personalità, la poesia non si darebbe e dunque verrebbe meno la possibilità di una integrazione tra organismo e ambiente che sia all’altezza di un mondo che non è un paradiso, un mondo in cui è necessario (e anche bellissimo) parlare.
Antonio Sichera
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