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Il corpo in azione: alla ricerca del ‘gesto mancato’ 

[…] Dalla centralità del corpo deriva la centralità dell’azione. L’azione non vista come elemento di secondaria importanza (come fosse unicamente il momento di esecuzione di un pensiero) ma come esperienza autonoma che verifica e, spesso, modifica i pensieri che la precedono e, a sua volta, ne genera di nuovi. L’azione come luogo in cui si sperimentano e si apprendono elementi decisivi della propria identità. Quando il bambino riesce ad afferrare un oggetto per la prima volta fa un’esperienza nuova della propria identità e nella sua mente si apre un flusso di pensieri impossibili prima di tale azione. Tale decisiva importanza dell’azione ha fatto esclamare a Goethe: “In principio era l’azione”. 
Le psicoterapie ‘corporee’ (nel senso già inteso) inseriscono l’azione nel setting terapeutico come momento espressivo e curativo del disagio psichico. […] Una tecnica particolarmente cara ai terapeuti della GT è quella di chiedere alla persona di ripetere, ed eventualmente amplificare, un gesto appena accennato perché diventi consapevole del vissuto che aveva percepito in modo abbozzato. 
Nella teoria e nella prassi della GT si presta attenzione decisiva e originale al ‘gesto mancato’. Nel blocco muscolare-emozionale, infatti, la GT, non vede solo un’emozione trattenuta che tende ad esprimersi (visione intrapsichica) ma un’interruzione: il non aver portato a compimento un gesto preciso in una relazione precisa (prospettiva relazionale). 
Il ‘gesto mancato’ è visto dunque come l’interruzione di una relazione con qualcuno. L’inibizione dell’azione viene vista come blocco della relazione e luogo del disagio psichico. 
Nella GT, pertanto, non si dà particolare enfasi alla lettura dei blocchi corporei perché si è interessati all’emergere di un blocco corporeo-emozionale nel qui-e-adesso della relazione con il terapeuta. Nel lavoro terapeutico, quindi, terapeuta e paziente cercano, con contributi differenti, di rintracciare il ‘gesto corporeo-relazionale’ mancato. Trovatolo, il terapeuta prova a dare il sostegno specifico in modo che il paziente possa attraversare l’angoscia correlata e portare a compimento ‘quel’ gesto che definisce in modo nuovo la relazione con il terapeuta. È interessante osservare che il ‘gesto mancato’ è un gesto ben preciso, unico e non sostituibile con uno simile (come la parola ‘giusta’ già accennata). Non si tratta di un percorso facile per il paziente (e per il terapeuta), ma quando questo accade il paziente sperimenta un senso di luminosa integrità (“io sono il mio corpo”) e di pienezza (“il mio corpo è tutto in tutte le sue parti”): senza saperlo, con parole nuove, tutte sue, ridirà il verso del poeta “mi sento rinato”. 
Tradotto il tutto in termini tecnici, questa esperienza implica una ristrutturazione – una nuova gestalt – di parti del corpo, e del corpo nel suo insieme. […] Si può affermare che nei vari ‘gesti mancati’ è racchiusa la storia relazionale di una persona: ogni corpo porta i segni dei gesti non compiuti e, nello stesso tempo, ogni gesto non compiuto parla di relazioni non completate, di interruzioni. Se una persona, in un incontro, non esprime se stessa con integrità e pienezza, vivrà l’esperienza come traumatica e non la assimilerà. Resterà nella sua affettività corporea una gestalt aperta che offuscherà altri incontri, creando – come sappiamo – una sorta di coazione a ripetere, secondo il principio di Zeigarnik tradotto in modo scultoreo da P. Goodman: “Tutto ciò che non si completa si perpetua”. 
Da sottolineare, infine, che, nella prospettiva della GT, quel ‘gesto mancato’ che rimanda alla situazione passata e preme per essere compiuto emerge nel qui-e-adesso della relazione terapeutica e si colora di sfumature e di aggiustamenti creativi dovuti alla situazione attuale. 


Tratto da: G. Salonia, La Gestalt Therapy e il lavoro sul corpo. Per una rilettura del fitness, in S. Vero, Il corpo disabitato. Semiologia, fenomenologia e psicopatologia del fitness, Franco Angeli, Milano, 2008. 

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