La parola del terapeuta cura se fa nascere nell’altro parole nuove. Per poter trasformare dolori e smarrimenti della vita in un opera d’arte -significato ultimo di ogni esistenza- è fondamentale trovare ‘le parole per dirli’. Quando lo smarrimento, come il dolore, trovano la loro parola, allora inizia il lento cammino di trasformazione in canto. Non per nulla D. Stern, creando la sua teoria evolutiva, ha posto in modo geniale come punto d’arrivo della crescita e della maturazione, il narrative Self: la capacità del bambino di narrare (narrarsi) ad un altro.
La parola, nella sua intima essenza, ha una valenza triadica: io dico qualcosa a qualcuno. Se non c’è l’io si tratta di parole vuote, se non c’è l’altro si tratta di parole sprecate, se non c’è la parola tra me e l’altro siamo nella fusione o nell’indifferenza.
La parola è la condizione dell’incontro: una parola che va e viene dalle solitudini dei due attraverso un gioco di apertura del proprio mondo e di accoglienza di quello altrui. Si tratta di una danza che tra parola e silenzio permette a due anime di andare e venire dalla solitudine costitutiva all’incontro generativo.