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Quanto deve essere diverso l’altro per essere altro? E quanto questa variabile, imprevedibile differenza sfida e mette in crisi il nostro essere terapeuti? Di che strumenti abbiamo bisogno per capire un immigrato, o per decifrare quanto avviene in un altro continente? Queste sono le domande a cui questo articolo cerca di dare risposta, interrogando le discipline che si sono occupate e si occupano di approcci interculturali. Primariamente, interrogando l’etnopsichiatria.

Individuiamo dei fili rossi da dipanare lungo questo piccolo percorso. Quelli dell’esperienza migratoria, del confronto con l’alterità/novità, di un’attenzione anche clinica all’altro e all’immigrato. Un ‘altro’ che, a specchio, diventiamo noi stessi.

L’attenzione della psicoterapia della Gestalt agli sfondi è una chiave importante per l’attenzione all’intercultura. L’altro, il nuovo, il diverso mette in discussione a tutti i livelli, dalla relazione duale ai processi sociali più ampi. Mette in discussione i presupposti che diamo per scontati nel nostro quotidiano procedere, l’ordine sociale che ogni società si dà. Con l’etnopsichiatria ci collochiamo proprio nella continua relativizzazione di saperi e discipline. 

Sempre più ‘deboli’ e per questo sempre più interessanti. Riflettere sui sistemi di cura è anche riflettere sulla produzione del consenso politico e sociale, su come questo plasmi le forme del disagio; è interrogarsi sul come l’etnopsichiatria sia una disciplina di confine, un metodo, più che un insieme di conoscenze.
Michela Gecele, Gtk 5

                                                                


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