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Così, dopo aver potuto fare tutta l’esperienza necessaria di attaccamento ad un adulto, emerge in Fabiola a poco a poco il desiderio di cominciare a staccarsi, a fare da sola, ad esplorare al di fuori della relazione con noi, partendo da sé, da ciò che vuole, che sa fare. Ora può dunque sperimentare il contatto ‘fuori’ da quell’ambiente protetto, da quel confine strutturato che noi siamo state per lei. Sotto il nostro sguardo e pur nel perimetro della sicurezza disegnato dal nostro essere nello sfondo, Fabiola può tentare di costruire la propria figura di contatto, può iniziare a scoprirsi ‘compagnetta’ accanto ad altre compagnette e ad altri compagnetti. Può cominciare cioè a interpretare il suo ruolo e a definire il suo posto nel mondo. Anche se magari non riesce sempre ad essere autonoma. Anche se a volte gira confusa come una trottolina, agitata e stanca, senza sapere se ritornare tra le nostre braccia o andare verso i compagni. Il nostro compito è di farle sentire che può tornare ogni volta che vuole, che ci può sempre trovare. Così Fabiola va avanti, aprendosi verso gli altri ma cercando di mantenere il filo di ciò che fa senza perdersi, distinguendo il suo dal non suo. Quando cade nella trappola della disconferma, dell’aggressività, dello sconforto, si riprende se sa – e lo sa fisicamente, nel suo corpo – che ci siamo, che ci ritrova, che noi adulti che le stiamo vicino, riconoscendola nella sua sofferenza. Le diciamo con calore: “Ti ha fatto arrabbiare sentire…”. Per Fabiola queste parole sono come un balsamo, a partire dal quale è possibile ricominciare.
Dada Iacono, Gheri Maltese, Come l’acqua… Per un’esperienza gestaltica con i bambini tra rabbia e paura. Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2012, pagg. 37-38



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