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Diceva Brecht che anche da guariti si continua a guardare con amore e con un po’ di nostalgia la stampella che in altri tempi ci ha aiutato a camminare… Consapevole – come ci ricordano Perls e Goodman – che il «nevrotico ha perso il contatto con lo sfondo della personalità, e rimane consapevole soltanto del sintomo», il terapeuta cercherà di ripristinare nel paziente il recupero dello sfondo, la trama relazionale che il sintomo racchiude. Risulta efficace, in questa direzione, l’invito al paziente di collocare il sintomo in un contesto, iniziando a stilare una sorta di ‘gerarchia’ dell’intensità durante la giornata: così si passerà dalla percezione del disturbo come evento atemporale e aspaziale («Mi capita!») alla consapevolezza che il sintomo è connesso con situazioni di tensione a livello relazionale («Adesso che ci penso, sto peggio quando lei/lui dice…», «Quando sto solo…»). A poco a poco emergerà così l’interruzione del contatto su cui si è innestato il sintomo. Durante la seduta il paziente continua a chiedere: «Ma siamo sicuri che ho chiuso la macchina?». Sembra che la domanda giri a vuoto e venga ripetuta casualmente, ma, se si presta attenzione (microanalisi), ci si accorge come essa ritorni più insistente proprio mentre il paziente sta parlando con il terapeuta di un tema di particolare difficoltà. Nel compito di ridare sfondo relazionale al sintomo, diventano illuminanti domande del tipo: «Come cambierebbero i rapporti con le persone significative (con me terapeuta!) se lei non avesse più la fobia, i pensieri ossessivi, i sensi di colpa, il bisogno di compiere gesti compulsivi?».

Giovanni Salonia, L’angoscia dell’agire tra eccitazione e trasgressione. La Gestalt Therapy con gli stili relazionali fobico-ossessivo-compulsivi in G. Salonia,V. Conte, P. Argentino, Devo sapere subito se sono vivo. Saggi di psicopatologia gestaltica, Ed. Il pozzo di Giacobbe, pagg. 215-216



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