Gli inizi non ci appartengono: è questa la ferita originale, che ci fa sperimentare “l’essere gettati nel mondo” come il rischio più assoluto. Ma questa è anche la sfida con la quale ogni uomo deve confrontarsi senza scampo. L’incompletezza e i limiti drammatici della nostra condizione trovano pienezza non nella ribellione o nel delirio narcisistico d’indipendenza, ma in un umile, necessario collocarci dentro una relazione di gratitudine, dove nell’intimo della nostra esistenza riconosciamo di essere debitori: verso una donna che ha rischiato la vita per darci la vita, verso un padre che si è consegnato ad una donna.
La parola d’ordine diventa “consegnarsi”: solo se in una relazione affettiva si è disposti a correre il rischio della consegna di sé all’altro, la sessualità può aprirci tutte le sue segrete e profonde dolcezze. Ma nel consegnarci c’è il senso di un abbandono, di un’apertura che inevitabilmente richiama l’estrema paradosis dell’esistenza, la consegna del nostro esserci alla morte.
Se non si coltivano la relazione e l’apertura feconda, se non si guarda in faccia la paura della morte, non può darsi nessuna formazione alla relazione e alla sessualità.
Giovanni Salonia