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La Gestalt Therapy (GT) legge le fobie, le ossessioni e le compulsion (FOC) come stili relazionali disfunzionali che rivelano una seria difficoltà dell’Organismo (O.) ad entrare in contatto  nutriente  con l’Ambiente (A.), nonostante ne abbia desiderio e intenzionalità. Nell’ermeneutica della GT, infatti, ogni disturbo psichico rivela (e deriva da) un’interruzione del processo di avvicinamento dell’O. all’A.: interruzione che avviene in momenti differenti del percorso relazionale temporale che conduce l’O. a realizzare il contatto con l’A. Fallire nel contatto con l’A. blocca la crescita e produce sintomi.
Un esempio. Dopo aver parlato con un amico, io so (ne divento maggiormente consapevole quando mi concentro) se il contatto con lui è stato pieno o no verificando le seguenti domande: “Ho detto ‘quello’ che volevo dire? Ho detto ‘tutto
quello’ che volevo dire? Ho interagito come volevo?”. Se le risposte sono affermative, il contatto è stato pieno e ha nutrito l’amicizia; se le risposte sono negative, il contatto è stato in tutto, o in parte, fallimentare. Si parla di competenza relazionale di una persona quando abitualmente è capace di contatti pieni con l’ambiente.
Un altro punto centrale della psicopatologia della GT è dato dall’analisi del momento preciso in cui accadono le interruzioni lungo il percorso del contatto, che va dal bisogno dell’O. alla sua concreta realizzazione, che è l’incontro con l’A. Tale itinerario è scandito, nella teoria del contatto della GT, in precisi passaggi: il primo è quello dell’orientarsi (sapere dove si vuole andare); il secondo quando emerge l’energia e l’O. si muove verso l’A.; il terzo è il momento in cui l’O., ormai prossimo all’A., decide di consegnarsi; infine avviene l’incontro (il contatto, finalmente!); nell’ultima fase l’O. assimila e cresce per l’avvenuto contatto. Tali passaggi – o fasi – si succedono in modo epigenetico: in ognuna l’O. assimila la precedente e si prepara per la successiva. Ogni passaggio da una fase all’altra, come si sa, suscita desiderio e paura. A livello evolutivo, il bambino apprende la competenza relazionale se in tali passaggi riceve il sostegno evolutivo specifico da parte delle figure genitoriali. Se la figura genitoriale, invece di contenere le ansie naturali del bambino, si impaurisce a sua volta, il bambino sarà caricato anche della paura dell’adulto e la sua ansia diventerà angoscia e terrore: perderà la spontaneità nella esperienza dell’O. e, anziché andare avanti verso il contatto pieno, produrrà un sintomo. Il sintomo, quindi, nella GT, rimanda all’interruzione di un cammino verso il contatto e ‘sta al posto’ (‘instead of’) del passo che l’O. ha bloccato perché travolto dall’angoscia. È utile precisare che l’interruzione del contatto di cui stiamo discorrendo non va letta in termini comportamentali, ma a livello di vissuti corporei e relazionali.
Ad esempio, se due partners sono impegnati in una conversazione telefonica e ad un tratto cade la linea, si ha un’interruzione di contatto solo comportamentale (non riguardante i processi di contatto). Se, invece, mentre conversano uno dei due si sente offeso e non lo esplicita e continua a parlare riducendo lentamente e sempre di più il proprio interesse verso l’interazione, in questo caso si tratta di un’interruzione dei vissuti relazionali e corporei (anche il suo corpo si
chiude), sebbene continuino le interazioni verbali. Tornando alla fase evolutiva, anche il sostegno o la mancanza di sostegno nella relazione evolutiva passa attraverso la corporeità prima che attraverso i contenuti: gli introietti genitoriali (“Non fare questo o quello!”) bloccano la spontaneità del bambino non tanto per i contenuti ma per le tensioni corporee, per il tono di voce con cui inconsapevolmente il genitore agisce sul corpo del bambino.
Concludendo, le interruzioni del contatto (che, a seconda della fase in cui accadono, prendono forme di disturbo differenti) si apprendono nella relazione primaria, si manifestano nelle varie relazioni che l’O. tenta di instaurare con l’A. e potranno trovare soluzione e cura in una relazione che sia terapeutica.
Giovanni Salonia

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