[…] La terapia della Gestalt (Perls, 1942) aveva sottolineato, negli anni cinquanta, la centralità della competenza al contatto come criterio di crescita della persona e in seguito, nella sua teoria evolutiva, indicherà la competenza la contatto come punto di arrivo della crescita del bambino (cfr. Salonia, 1989). Margaret Mahler (1975), negli anni settanta, sottolinea, per prima, l’importanza decisiva nella maturazione del bambino dell’apprendere a camminare come momento determinante per giungere all’autonomia. Negli anni ottanta, Daniel Stern (1985) elabora una teoria evolutiva che guarda al bambino nelle sue interazioni (come “sé”) e indica come meta la capacità di narrare e di narrarsi (narrative self) che è un’azione triadica. Tutta la riflessione e la pratica sull’educare, o meglio facilitare il divenire femmina/maschio, si inscrive in queste traiettorie di fondo. Parliamo di “facilitare” perché il diventare femmina e maschio è processo fisiologico che può essere solo accompagnato e facilitato. Alcune aree nell’ambito formativo oggi richiedono un’attenzione specifica. Ne segnaliamo due in particolare.
La corporeità. Diventare femmina e maschio è un percorso decisamente corporeo. L’attenzione alla soggettività, l’analisi fenomenologica, le teorie corporee hanno offerto contributi notevoli ad un comprensione, a tratti nuova, della corporeità. Si tratta di riscoprire il “corpo vissuto”, il “corpo sessuato”, la dimensione e personale e relazionale del respiro e della sessualità (Salonia, 2004a, 25-35). Solo dal di dentro, dalla scoperta della musica e del ritmo dei corpi è possibile coniugare il senso fiero e pieno del proprio corpo e di quello “diverso”. Parafrasando Kundera, possiamo affermare poeticamente che ogni corpo deve scoprire la propria anima e ogni anima deve scoprire il proprio corpo: quando avviene questo matrimonio, come ci ricorda Nietzsche, si rinasce ed è possibile incontrare in un ritmo nuovo anche il corpo dell’altro (Salonia, 2004a, 53-60).
[…] Saper collaborare. Un impegno educativo dovrà puntare sul far emergere nel/la bambino/a la curiosità del punto di vista dell’altro ed, in particolare, del punto di vista dell’altro sesso. Solo se educati a vivere la diversità come ricchezza da cercare e non come lotta di potere o di valore sarà possibile maturare gli atteggiamenti necessari e funzionali alla competenza alla collaborazione, in particolare tra femmina e maschio. I sentimenti di rispetto e di tolleranza sono solo propedeutici all’incontro con la diversità. Perché la convivenza produca la pienezza che ha in germe è necessario essere consapevoli che la propria prospettiva può essere, sempre e comunque, arricchita da un’altra per cui è necessario nutrire interesse e curiosità, anche per una prospettiva che ci sconvolge nella sua originale diversità. Essere attenti, nella casa e nella polis, a riconoscere il frammento di luce presente nel punto di vista dell’altro e il frammento di oscurità nascosto nel nostro punto di vista, è l’inevitabile premessa e condizione di un genuino e fecondo vivere insieme (Salonia, 2004a, 101-114). Questa pratica di collaborazione deve prendere le mosse proprio dall’atteggiamento del pensare-con, del pensare insieme che è premessa inevitabile di una genuina collaborazione. Solo così si può sperimentare che la diversità dei corpi femminile e maschile non è solo la diversità più radicale e più complessa dell’esistenza ma è anche la più feconda: è la strada per il nostro futuro, quello già dentro di noi e quello che verrà.
Giovanni Salonia
Tratto da: G. Salonia, Femminile e maschile: vicende e significati di un’irriducibile diversità, in Ciclo di vita e dinamiche educative nella società postmoderna, (a cura di M. G. Romano), Franco Angeli, Milano 2009.