Non è semplice esprimersi sulla omogenitorialità essendo una problematica relativamente recente e carica di molte valenze antropologiche. Anche le ricerche — come si sa — non risolvono questo problema perché le variabili sono tante e complesse e i dati ancora insufficienti per una valutazione obiettiva. Personalmente sono molto perplesso sull’adozione di omogenitori per bambini da zero a sette/nove anni, essendo questo il periodo in cui si forma e si stabilizza l’identità corporea. La mia lunga formazione in body therapy e in Gestalt Therapy, i miei quasi quarant’anni di esperienza clinica, gli studi sulle neuroscienze (si pensi al «sé autobiografico» di Damasio, alla Embodied Cognition), mi spingono a pensare che il bambino costruisca (potrei dire ‘co-costruisce’) una sana identità corporea nelle interazioni del proprio corpo con quello dei genitori (intercorporeità primaria): apprende che ha ed è ‘questo’ corpo solo dentro la relazione ‘estetica’ (nel senso greco del termine: con tutti i sensi) con i corpi dei genitori.
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Opera di Angelo Ruta |
Essere toccati e poter toccare (si pensi ai recenti studi sulla ‘percezione atipica’ nelle sue declinazioni, sensoria, motoria e cognitiva), essere visti e poter vedere i corpi, esplorare i corpi stessi, sono tutte esperienze fondamentali nella costruzione di una identità corporea ossia degli schemi corporei impliciti. La relazione genitoriale non è, quindi, solo affettiva ma è anche decisamente corporea. Per cui credo che crescere interagendo con due ‘figure genitoriali’ (termine più caldo del freddo inglesismo caregiver) dello stesso sesso penalizzi in modo pesante la formazione dell’identità corporea dei bambini. Ovviamente tale mia perplessità non riguarda assolutamente la competenza genitoriale del singolo genitore (per me, scontata). Trattandosi di un tema nuovo, resto aperto ad ulteriori approfondimenti.
Giovanni Salonia, Il cuore della cogenitorialità nella gestalt therapy. Intervista a Valeria Conte e Giovanni Salonia a cura di Aluette Merenda, in GTK 6, Rivista di Psicoterapia, Maggio 2016, pagg. 43-44