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Io che falli nella stretta, fallisco
ora nella rinunzia. E’ così poco
quel che trattengo, scherno alla mia fame,
e tuttavia un ingombro smisurato… 
(Margherita Guidacci)
Prendiamo le mosse dalla domanda più semplice: cosa è il dono? Cominciamo con il notare l’intima connessione tra dare e ricevere: è una legge della vita che l’uomo diventi capax donandi solo dopo aver fatto l’esperienza del ricevere. […] Un bambino che non ha mai ricevuto non riuscirà a donare. Ogni inizio, infatti, è generato da un grembo in cui si intrecciano il donare e il ricevere. Man mano che il bisogno viene soddisfatto perde le caratteristiche dell’urgenza e dell’immediatezza, va nello sfondo e si apre al riconoscimento dell’altro: il bisogno placato si trasforma in desiderio e il piacere del ricevere si evolve ed approda alla gioia del dare. A questo punto diventa chiaro come il dono sia genuino quando si colloca nella logica del desiderio e non in quella del bisogno. Le grandi riflessioni sul dono come “valore di scambio o di legame”, sul dono “utile o disinteressato, obbligatorio o libero” rimandano – come vedremo – all’interrogativo di fondo: il dono deriva dal bisogno o dal desiderio? Dalla risposta a questa domanda il dono si qualificherà come vero o come manipolatorio. Non è possibile, infatti, donare quando dentro si è ancora chiusi nel registro del bisogno: solo se capaci di desiderio (e, quindi, di reciprocità), il donare diventa gesto carico di relazionalità, di creatività, di condivisione, di gioco e di sorpresa.

Giovanni Salonia, Il dono tra bisogno e desiderio, tra morte e vita. Percorsi evolutivi del donare, in Il desiderio come promessa del dono. La catechesi nell’intreccio dell’identità dell’umano, a cura di Giuseppe Alcamo, ed. Elledici, pagg. 40-41


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