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In occasione della presentazione del libro “Avere a cuore. Scritti in onore di Giovanni Salonia”, lo scorso 22 dicembre a Modica, abbiamo ricevuto un contributo di Giuseppe Savoca, illustre studioso della poesia italiana moderna e contemporanea, che – impossibilitato a partecipare – ha scelto di inviarci un testo, che ci onora poter condividere con voi:

Con questo libro siamo di fronte a un prodotto editoriale di sobria ed elegante armonia. Esso, nella sostanza umana e culturale da cui nasce, si può definire come un dono corale e insieme cordiale. In senso metaforico-musicale, leggerlo nell’attitudine dell’ascolto e del dialogo (necessari ad ogni comprensione) induce l’impressione di assistere, e come lettori di partecipare, all’interpretazione ed esecuzione di un unico tema, in cui le diverse voci sono perfettamente riconoscibili nella loro specifica individualità, e insieme nella loro tensione unitaria di cordialità verso la persona dedicataria dell’evento.

Ancora metaforicamente, si potrebbe dire che autori e lettori siano tutti coinvolti in una operazione e in una esperienza di psicologia collettiva, coordinata e diretta da un regista che resta in certo senso fuori campo, ma la cui parola traspare e ritorna insistentemente nelle parole e nelle voci di coloro che vi partecipano. Prendendo a prestito, e certamente con l’approssimazione del profano, uno dei criteri ermeneutici della Gestalt, direi che in questo libro si vede in azione, e si può continuamente verificare, il rapporto tra figura e sfondo, supportato anche dal procedimento della reversibilità.

Il che in altri termini si esplica nel  fatto che ogni contributo porta in primo piano la personalità del suo specifico autore, mentre sullo sfondo si intravede sempre la persona del festeggiato, il quale alla fine della lettura dei singoli scritti, e poi di tutti gli interventi, ritorna ad essere, ma sempre con l’umiltà francescana che lo segna, la figura centrale, con sullo sfondo il coro cordiale dei suoi interpreti ed estimatori.

Credo che anche il lettore più distaccato chiuderà il libro sentendosi direttamente chiamato in causa, e magari arricchito perché si accorgerà di avere percorso un cammino che gli ha dato e ancora gli darà la possibilità e la felicità di incontrarsi con una persona, con un fratello e un padre, e con altre persone che sono insieme a lui lettore sulla stessa strada che è quella, per usare un bel titolo di Giovanni Salonia, dell’Odòs, della Via della vita.

Sono sicuro che mi sentirei di fare un torto ai partecipanti a questi Scritti se facessi il nome di qualcuno di loro. In ogni contributo infatti io ho trovato molto da apprendere e con molti mi sono sentito spesso in sintonia. 

Mi limito solo ad accennare con poche parole a quella che per me è la figura  della via che, sulle orme di Salonia, ci viene indicata da questo libro. Per prima cosa osservo che c’è in esso del tutto esplicito il riferimento a un metodo (metodo che nella sostanza riterrei quasi intrasmissibile in quanto coessenziale al carisma irripetibile qual è quello di un vero maestro e fratello com’è Salonia). E mi permetto di annotare per inciso che la parola “metodo” viene dal greco meta, che tra l’altro significa con, e dal sostantivo citato odòs, e cioè via.

Il titolo del libro ci dice chiaramente che il metodo è quello della via del cuore, del nostro cuore (espressione che si legge nel libro, insieme a voce del cuore, potere del cuore, legge del cuore, poesia dei cuori, Gestalt del cuore). In estrema sintesi, dico con le parole di Salonia che il metodo è quello di trovare e di percorrere “le strade che portano al cuore”. 

In fisiologia umana è ormai acquisito che il battito del cuore di ciascun uomo è assolutamente unico; e si ha notizia dell’avvio di progetti e tentativi di costituire, per fini diversi, banche dati in cui moltitudini di individui siano catalogati per poter essere identificati e identificabili in maniera certa sulla sola base delle pulsazioni del cuore.

E che succede nella psicologia clinica della Gestalt così come rifondata da Salonia?

Egli concorda con Sant’Agostino, per il quale il nostro essere è un enigma a noi stessi, e certo sa bene che il cuore, agostinianamente, è sempre inquietum, sospeso com’è tra la sua sofferenza, il suo stesso silenzio e (cito ancora Salonia) “il silenzio di Dio”.

Questo libro è da “avere a cuore”, è da “ri-cordare”, anche perché esso ci offre uno splendido esempio di “con-cordanza”, in cui autori e lettori possono riconoscersi in quello che si potrebbe intendere pascalianamente come un libro unificato dalle “ragioni del cuore”; un libro che ci fa meditare su come l’avere a cuore l’altro addolcisca la fatica e il dolore del vivere. 

Non è certo da sottovalutare il dato ineliminabile che nel tempo del cammino, nella “traità” concreta delle relazioni umane e sociali, ognuno (come ogni psicologo) deve confrontarsi inevitabilmente e continuamente con la dis-cordanza che c’è “in interiore homine” e tra gli uomini.

Essere psicologo, avere a cuore sé e l’altro credo significhi anche rispettare  l’unicità delle discordanze in sé e in ognuno. E ciò anche accettando lo scacco del fallimento della stessa cura.

Parafrasando un pensiero di Pascal, direi che ogni essere umano “ha un senso nel quale tutte le discordanze si accordano o non ha alcun senso”. E mi pare di potere interpretare anche il senso della missione e del lavoro di Salonia, se aggiungo (sempre con Pascal) che il vero senso di una vita consiste nel credere che “in Gesù Cristo tutte le contraddizioni sono accordate”.

Giuseppe Savoca, 22 dicembre 2019

 

 

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