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Qualche giorno fa, pensando alla tragica situazione che l’Ucraina sta vivendo, ho scritto in un giornale: “C’è un tempo per tutte le cose, ma non dovrebbe esserci mai il tempo per la guerra”. L’incubo che stiamo vivendo ogni giorno da quasi un mese, infatti, ci mette davanti a storie e a volti segnati dal dolore e dalla sofferenza, immagini di un nuovo conflitto scoppiato proprio nel cuore dell’Europa.

Nei mesi scorsi, all’interno della proficua collaborazione che mi lega al Migis, un istituto di Gestalt Therapy di Dnipro in Ucraina, avevo preparato un percorso d’approfondimento in psicoterapia della Gestalt con il quale accompagnare gli allievi. Quando è iniziato il conflitto sono stati proprio loro a chiedermi di non interrompere i nostri incontri, ma di sfruttare quelle ore per farci forza, per parlare insieme e mantenere vivo il legame che si era formato nelle settimane precedenti, quasi come una grande terapia di gruppo per discutere della guerra e cercare di elaborala insieme.

Davanti a questo incubo condiviso, che ogni giorno ci riempie di preoccupazione e dolore, siamo chiamati ad unirci in quanto esseri umani e a rispondere, al di là delle teorie, all’orrore della guerra con la vita e l’amore per la vita, anche e soprattutto ora che la sentiamo minacciata. È proprio questa spinta alla vita ad unirci.

L’incertezza e l’insensatezza della guerra ci mettono davanti ad un’attesa insopportabile e alla speranza che arrivi un momento, un modo o qualcuno che possa mettere fine a questa tragedia. Ecco che allora noi come persone, prima ancora che come psicoterapeuti, siamo chiamati a tendere la mano verso l’altro, ad aprirci e a condividere i nostri sentimenti e la nostra voce per diventare più forti.

Il grande neuroscienziato Siegel diceva che quando c’è un trauma o una paura dobbiamo fare entrare la vita. Ci faceva un esempio piccolo, ma significativo: se in una tazzina piena di zucchero o di sale versiamo un po’ di acqua, quel che otteniamo è imbevibile. Dice Siegel: “Se noi prendiamo tutto quel sale o quello zucchero e lo mettiamo in due litri, diventa possibile (bere)”. Ecco allora che quando viviamo il terrore, la paura o il trauma fare entrare la vita è già resistere ed andare avanti.

Nel suo carteggio con Freud, Albert Einstein nel luglio del 1932 domandò allo studioso: “C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?”. E Freud, dopo una panoramica sulla pulsione di morte e di vita insita negli uomini, gli rispose che sono i legami emotivi a fondare la vera forza del gruppo e a trionfare sulla violenza. È un po’ quello che poi, in un modo più completo, riprenderà e dirà proprio la Gestalt: i conflitti nascono proprio quando ci si isola e si smette di vedere gli altri e soltanto stando insieme e parlandone è possibile superare le difficoltà.

Noi siamo umani perché abbiamo la parola, abbiamo il diritto, abbiamo tutti gli strumenti per evitare la guerra, ma anche perché sappiamo che il cuore dell’uomo vuole i legami familiari, vuole la vita. Quando Perls scrisse nel 1951 che “chi ascolta, non fa la guerra, chi fa la guerra, non ascolta”, io credo che non si riferisse solo ad ascoltare l’altro, ma anche ad ascoltare il proprio cuore. Ecco allora che chi ascolta il proprio cuore e chi ascolta il cuore dell’altro dà la preferenza al parlare, al negoziare.

La bellezza che salverà il mondo sarà proprio la bellezza dei legami che nascono nel dolore! È vero, i nostri giovani sono più fragili, ma la fragilità dei nostri giovani è riscattata e sostenuta dall’avere adulti che si prendono cura di loro con calore e amore. Lo scrittore francesce Bernanos diceva: “A volte bisogna dare agli altri la forza che neppure noi sentiamo”. Anche questo fa parte della bellezza del nostro lavoro: dare agli altri qualcosa che noi stessi fatichiamo a raggiungere. E nel momento in cui diciamo all’altro quella forza che noi non sentiamo, questo gesto di generosità e di prendersi cura genera anche in noi una forza, che è proprio la forza del prendersi cura degli altri, dei più fragili. E forse è prendendoci cura dei più fragili, come fanno ogni mamma e ogni genitore, che troveremo una forza che non pensavamo di avere.

Giovanni Salonia

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